mercoledì 28 giugno 2017
Nelle sedi si punta a ridurre l'impatto ambientale e si scommette sul cibo
Il colosso svedese monta pezzi di sostenibilità
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MALMÖ A osservarli mentre lavorano, i dipendenti dei due quartier generali svedesi di Ikea, sembra siano a distanze siderali dalla maggior parte degli impiegati nelle aziende del resto del mondo (Silicon Valley esclusa). Si muovono nelle sedi di Älmhult - il paese dove il proprietario e fondatore Ingvar Kamprad aprì il primo store nel 1958 - e di Malmö con i loro caffè americani in mano. Non hanno uffici ma decine di spazi condivisi. Tavoloni, stanze per riunioni e incontri, alcune delle quali mobili. Poltrone, salottini. Nessun logo richiama il nome dell’azienda, perché l’intento è che il dipendente, o anche chi è lì di passaggio, si senta 'spontaneamente' in uno spazio Ikea e immerso nella filosofia del gruppo. Certo, gli arredi sono facilmente riconoscibili, ma forse il tratto che emerge di più è il senso che nulla sia lasciato al caso. Con le spiegazioni, poi, arrivano le conferme: gli edifici hanno sale meeting che non si affacciano sui muri perimetrali per lasciar spazio ai corridoi dove da enormi finestre può entrare la luce, fruibile così per chiunque. Le gradinate sono fatte con il legno recuperato da mobili dismessi. E ancora: sono autonomi a livello energetico.

Ikea Svezia ha infatti raggiunto l’indipendenza energetica (con pannelli solari e geotermico) e ha acquistato un campo eolico. Produce energia in quantità maggiore rispetto al suo fabbisogno. Mentre a livello gruppo, sulla strada verso l’indipendenza energetica è giunta al 70%. La sostenibilità non solo è un mantra da anni, ma è già realtà. «È fattore di cambiamento. Il nostro approccio è mutato dal voler diminuire l’impatto sull’ambiente, ad avere un impatto positivo», specifica Håkan Nordkvist, responsabile del settore Sustainability innovation. L’idea è quella di pro- seguire su questo fronte. Per esempio Nordkvist spiega come l’azienda «stia preparando la vendita di pannelli solari per permettere ai clienti di produrre energia anche in modo superiore al proprio bisogno». I pannelli sono già sugli scaffali in Svizzera, Olanda e Gran Bretagna e tra un anno potrebbero arrivare in Italia. «Non sono un prodotto Ikea, ma sono realizzati da nostri partner. L’ambizione è essere al di sotto del prezzo di vendita medio dei competitor».

Una scommessa che invece è stata vinta è quella dei led. «Cinque anni fa abbiamo scelto di proporre solo lampadine led. Costavano dieci volte quelle a incandescenza. Ma abbiamo investito riorganizzando tutta la value chain – prosegue Nordkvist – nel tempo abbiamo abbattuto il prezzo, ora si trovano anche a 1.99 e l’obiettivo è di venderne 500 milioni per il 2020». L’Italia è il secondo mercato migliore nella vendita di led. Un buon primato, considerando che Ikea è in 48 Paesi con 397 store. Il modello di business del gruppo è quello dell’economia circolare, sorretto da due driver: sostenibilità ma anche digitalizzazione. Driver che per essere supportati necessitano di tanta ricerca, affidata anche a specialisti esterni. Come lo 'Space 10' a Copenaghen, uno luogo che è un’interfaccia con l’innovazione. «Capiamo come cambia il mondo e lo interpretiamo - dice Simon Caspersen, direttore della comunicazione dello spazio - pensiamo a soluzioni per l’Ikea di domani coinvolgendo esperti, designer, università. Pensiamo a idee per avvicinare il cliente a un certo stile di vita». Come? Esplorando le nuove possibilità dell’architettura in modalità open source, ripensando a spazi per il quotidiano. Ci sono team al lavoro su dispositivi che regolano il consumo di acqua nella doccia, locali che ospitano serre con coltivazioni idroponiche. Il cibo è sicuramente una delle frontiere che l’azienda punta a esplorare, soprattutto in termini di prossimità: a passo zero, a metro zero. Magari in casa. Intanto quello venduto negli store di tutto il mondo ha successo, tanto che lo scorso anno ha fatturato 2 miliardi.

Il core business di Ikea è chiaramente l’arredamento, che di miliardi ne ha fatturati 36,4. Ma anche qui, ci sono aggiornamenti all’orizzonte. Il colosso dice infatti progressivamente addio all’immancabile brugola: per il 2020 per montare la maggior parte dei mobili non servirà più. Guarda alla stampa 3D, a nuovi materiali green, ai mobili a incastro. Altre misure sono già state adoperate sulla via dell’ecologia. Le spiega Stefano Brown, sustainability manager Italia, illustrando il bilancio di sostenibilità 2016 del nostro Paese. «I pallet non sono più di legno ma di cartone rigido, convenienti per la logistica. E poi abbiamo eliminato il polistirolo dagli imballaggi». L’attenzione è su tutta la filiera, partendo dalle materie prime, anche perché Ikea utilizza l’1% della produzione mondiale di legno e lo 0,8% di cotone. «Il legno risponde allo standard Fsc, che prevede che venga rigenerato. Il 70% che usiamo a livello mondo risponde al criterio, era il 51% nel 2015», racconta Brown. In Italia da quattro anni alcuni negozi raccolgono la plastica, che viene rigranulata e spedita a un fornitore ceco che la usa per realizzare nuovi prodotti. Insomma, il futuro di Ikea pare accelerare sul fronte sostenibilità. Non perdere pezzi è importante anche per l’ambiente.

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