martedì 15 marzo 2016
L’economia europea sta diventando sempre più digitale. Questo il risultato di una ricerca pubblicata ieri, in occasione dell’apertura della Conferenza regionale di Uni Europa, la Federazione europea dei sindacati del settore servizi. Camusso (nella foto il segretario generale della Cgil): necessario modificare il modello di sviluppo.
 I sindacalisti europei riuniti a Roma
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L’economia europea sta diventando sempre più digitale. Questo il risultato di una ricerca pubblicata ieri, in occasione dell’apertura della Conferenza regionale di Uni Europa, la Federazione europea dei sindacati del settore servizi, Cambiamo insieme l’Europa. Centinaia di sindacalisti sono stati invitati alla tre giorni per discutere sul ruolo dei sindacati, sul relativo potere negoziale a fronte dei datori di lavoro e delle istituzioni, e sulla loro capacità di aiutare i lavoratori a svolgere mansioni di qualità, per un’Europa più giusta ed equa. La ricerca, durata un anno e promossa dalla Fondazione europea per gli Studi progressisti (Feps), e da Uni Europa (con il sostegno di numerosi affiliati, tra cui Unionen), analizza come la cosiddetta sharing economy ha cambiato radicalmente il mercato del lavoro nella Ue e nel resto del mondo. Il Regno Unito e la Svezia sono i primi di una serie di Paesi ad aver reso noti i dati del sondaggio. Seguiranno, nei prossimi mesi, Austria, Germania, Spagna, Paesi Bassi e Italia. «Il rapporto – ha spiegato Susanna Camusso, segretario generale della Cgil – si riferisce alla Svezia, ma i risultati sono rappresentativi per l’intera Europa, compresa l’Italia. La crescente economia detta crowd working è parte del nuovo mondo del lavoro ed ha un potenziale di sviluppo positivo per la società. In questo momento, stiamo vedendo principalmente l’aspetto negativo di un mercato del lavoro quasi completamente non regolamentato, sulla coesione sociale e la crescita sostenibile. È la dimostrazione della necessità di modificare il modello di sviluppo, di lottare per un lavoro davvero dignitoso e di chiedere all’Ue il varo di standard minimi comunitari da applicare in tutti i Paesi europei».
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