sabato 9 giugno 2018
Il 77% la valuta positivamente. Sfatato il tormentone degli ultimi anni sul conflitto tra genitori e figli
Gli italiani chiedono più collaborazione tra le generazioni
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Il 74,3% degli italiani dice che “per avere una vera crescita economica serve il contributo (idee, impegno, valori) di ogni cittadino e quindi anche del mio”. Ma c’è di più: per il 73,5% “per avere una vera crescita economica serve il contributo di tutte le generazioni insieme, anche dei pensionati”. Questi alcuni dei risultati emersi dall’ampia ricerca fatta a fine maggio da Astra Ricerche per Manageritalia, su un campione rappresentativo di 1.462 20-75enni, e presentata a Milano in apertura del Meeting Prioritalia 2018 dal titolo Costruire un patto generazionale nell’economia dell’innovazione e delle competenze.

Non è quindi un caso che il 76,8% degli italiani valuti positivamente l’intergenerazionalità in modo crescente al crescere dell’età (64% under 40, 80% 50-60enni e 91% over 60). Emerge però un forte stacco tra i desiderata e la presenza nella realtà: in famiglia (desiderata 80,1% vs realtà 55,1%, gap -25%), nel lavoro (79% vs 32,1, gap 46,9%), nel volontariato (78,4% vs 54,3%, gap 24,1%), nella società (78,1% vs
32,2%, 45,9%), nei rapporti personali (74,7% vs 42,1, gap 32,6%), in politica (69,9% vs 23,9%, gap 46%). Il gap più forte è proprio nel mondo del lavoro, come riconoscono anche i manager, oggetto di un’indagine parallela (tramite più di 1.000 interviste), che valutano l’intergenerazionalità diffusa solo al 19,5% in azienda, al 10,6% nella società e all’8,4% in politica. Le cause per italiani e manager sono mancanza di risorse (40,7% italiani vs 38,9% manager), differenze nell’utilizzo delle nuove tecnologie e saperi (39,1% vs 53,3%), motivi culturali legati al fatto che i più giovani non capiscono e apprezzano i meno giovani (38,9% vs 39,3%) e, al primo posto per i manager, mancanza di chi sappia guidare e condurre i processi di intergenerazionalità e far dialogare le varie generazioni (36,1% vs 75,3%). In quest’ultimo caso i manager, in un certo senso accusando se stessi e la classe dirigente e politica, non si tirano certo indietro.

A confermare questa voglia di collaborare c’è il vissuto reciproco tra le varie generazioni. I 20-40enni sono
ritenuti dagli italiani soprattutto aperti all’innovazione, al cambiamento nella società, nell’economia e nel mondo del lavoro (66,2%, 69% dai 50-65enni) e fondamentali per il successo dell’Italia, per la ripresa economica (64,3%, 67% dai 50-65enni). In negativo si ritiene che pensino ognuno a se stesso più che al bene di tutti (57,7%, 61% dai 41-49enni, 59% loro stessi).

Dei 50-65enni gli italiani pensano che hanno etica e valori forti (72,7%, 66% gli under 40), voglia di fare e impegnarsi sul lavoro (69,3%, 58% gli under 40), e sono ben preparati per il mondo del lavoro (68,3%, 59% gli under 40). In negativo si pensa meno che siano aperti all’innovazione e al cambiamento (41,6%, 29% gli under 40).

E i pensionati, quelli additati come colpevoli dello scippo del futuro dei giovani? Nulla di tutto ciò. Sono sì
ritenuti troppo numerosi rispetto ai giovani e ai giovanissimi (56,8%), e rispetto alle persone che lavorano (51,9%), ma gli si riconosce voglia di fare, di impegnarsi assistendo parenti e amici (56,7%) e di essere ben preparati per dare ancora un contributo nella società (53,4%).

A ulteriore conferma del mancato conflitto intergenerazionale sono pressoché assenti, inferiori al 10-15%,
sentimenti reciproci quali poco interesse, critica e invidia per il periodo nel quale sono nati e/o per come vivono.

Se vogliamo proprio trovarlo, un “conflitto” c’è, seppur minimo e minore di quello che ci si potrebbe aspettare, tra under 40 e 50-65enni, dove i più giovani vedono i meno giovani meno positivamente di tutte le altre generazioni in varie dimensioni: apertura all’innovazione (29%, vs 41,6% generale), essere fondamentali per successo Italia (39%, vs 51,1%) e soprattutto aperti a collaborare con persone di altre
fasce d’età (anche molto diverse dalla loro) per trovare soluzioni nel mondo del lavoro (42%, vs 58,4%).

«I risultati di quest’indagine – ha detto Marcella Mallen, presidente della Fondazione Prioritalia – parlano di un Paese unito che ha voglia di collaborare allo sviluppo e di essere accompagnato verso quell’innovazione a livello economico e sociale che ne è la base di partenza. Una risposta chiara a quanto affermato martedì al Senato dal Premier Giuseppe Conte quando, parlando del dialogo con le parti sociali, ha detto: "Occorre rimettere in moto, in maniera corale, tutte le molteplici energie positive del nostro Paese". Il titolo e obiettivo del nostro incontro risponde agli italiani e alla sua positiva apertura di dialogo. Fondazione Prioritalia è il veicolo per portare il contributo dei manager nella società. E i manager, per il loro ruolo, possono e devono essere il motore di un processo che deve coinvolgere l’Italia produttiva e contestualmente tutti gli italiani per costruire davvero un’alleanza tra generazioni e territori che in azienda, ma ancor più fuori, ci veda partecipi di un cambio di paradigma indispensabile per riprenderci il futuro. L’innovazione ad ogni livello è il necessario punto di partenza e svolta e sarà, insieme alla consistenza e alla capacità di far accadere le cose, il filo conduttore delle nostre azioni future».

Tantissimi i macro temi trattati nell’indagine: la trasformazione digitale del lavoro, le competenze e i territori, il welfare, la demografia e i must per un vero sviluppo.

Parlando di cosa serve per la crescita economica gli italiani non hanno dubbi: spazio a merito, competenza, alla vera capacità di fare nel pubblico e nel privato (76,6%), che le aziende tornino a investire, pensare al futuro e avere una visione (75,7%) e, come abbiamo già detto, il contributo di tutti, anche dei pensionati, e un impegno personale forte (73,5%). A conferma si afferma a livelli intorno al 70% che attori della ripresa devono essere imprenditori, manager pubblici e privati, intellettuali e insegnanti, i più giovani (under 40), i più esperti (50-65enni) e anche, ai primi posti, la tanto vituperata classe politica (71,7%).

Per quanto riguarda alcuni fenomeni in atto a livello sociale gli italiani percepiscono fortemente l’invecchiamento degli italiani (89,3%), che dicono è destinato ad aumentare (75,1%) in parallelo con un aumento della vita media (67,5%). C’è invece minor consapevolezza della diminuzione della popolazione italiana nei prossimi anni (60,5%), dell’aumento della migrazione tra sud e nord (46,6%) e della continua diminuzione delle nascite (69,2%). Bassa anche la percezione che la differenza di sviluppo economico tra nord e sud è molto grande (73,4%), così come quella, anche nelle aree più sviluppate, tra grandi città e il resto del territorio (58,3%).

Dalla crescita economica ci si attende tanto. Infatti, si dice che, se gestita in modo giusto e corretto, possa aiutare tutti, non solo le aziende e i lavoratori, ma l’intera società italiana (72,2%), che senza di essa la condizione delle famiglie e dei lavoratori non potrà migliorare (74,6%), che permetterà di garantire la pensione ai pensionati attuali e futuri e redditi a chi lavora e lavorerà in futuro (61,8%). Ma solo un italiano su quattro (18,5%) pensa che la crescita sia già iniziata e la crisi sia alle spalle, così come quasi un italiano su due (43,9%) pensa che anche con una forte crescita economica milioni di persone in Italia resteranno in uno stato di povertà o vicino alla povertà. A riprova della volontà di collaborare e lottare insieme per il futuro, tutti (92,7%) sono propensi a mettere a disposizione le loro competenze per creare sviluppo, in particolare, per la crescita della generazione che segue (53,2% italiani, 80,6% manager) e del territorio dove si abita (54,8% italiani e 58,1% manager).

Sul fronte innovazione c’è la percezione di avere un profondo gap culturale e formativo a livello economico e sociale per cogliere appieno la parte buona delle trasformazioni in atto. C’è poi la sensazione forte della marginalità di tanta parte del territorio nazionale, non solo al Sud, e proprio per questo si chiede che tutti i territori vengano coinvolti appieno nei processi di trasformazione in atto. Per quanto riguarda il lavoro, l’Italia è divisa a metà tra vecchio (posto e stipendio fisso, poche responsabilità, no estero ..) e nuovo lavoro, con una forte e diffusa distanza dall’innovazione digitale se non nelle forme più smart (telelavoro eccetera). Forte è la consapevolezza dell’importanza della formazione e delle competenze, per questo si chiede di migliorare il sistema formativo (ritenuto di ottimo livello solo da un terzo degli italiani), si è consci che la capacità di apprendere sarà fondamentale (83%) e di dover pensare alla propria formazione in modo più continuo e anche in autonomia (90%) per avere come singoli la capacità di cambiare, rinnovarsi come lavoratori e di acquisire nuove competenze (57,9%).

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