mercoledì 22 marzo 2017
Secondo i calcoli della Fondazione Visentini un ventenne del 2030 ci metterà trent'anni a raggiungere l'autonomia economica. Serve un fisco calibrato sull'età e un "contributo" dalle pensioni.
"Reviewing a Contract" (Jeffrey Pott via Flickr https://flic.kr/p/9Aro6J)

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Nel 2004 un giovane di 20 anni impiegava circa 10 anni per costruirsi una vita autonoma: nel 2020 ne impiegherà 18 e nel 2030 addirittura 28. Se quindi nei prossimi anni un ragazzo diventerà "grande" a quasi 40 anni, tra tredici anni lo sarà a 50 anni. È quanto emerge dal rapporto 2017 della Fondazione Bruno Visentini, presentato il 22 marzo all'Università Luiss.

La ricerca ha compiuto un'analisi comparata delle principali esperienze italiane ed europee in tema di riduzione del divario generazionale, attraverso uno specifico indicatore di divario generazionale: nell'indice europeo di equità intergenerazionale l'Italia è al penultimo posto, seguita dalla Grecia. I giovani italiani risultano quindi più svantaggiati e se nel 2004 un ragazzo di 20 anni per raggiungere l'indipendenza doveva scavalcare un "muro" di un metro, nel 2030 quel muro sarà alto tre metri e dunque invalicabile.

Per fronteggiare l'emergenza generazionale e ridurre la forbice tra giovani e anziani "serve una rimodulazione dell'imposizione che, con funzione redistributiva, tenga conto della maturità fiscale" propongono gli studiosi della Fondazione Visentini, secondo la quale sarebbe necessario anche un "contributo solidaristico da parte della generazione più matura che gode delle pensioni più generose". Questo - aggiunge lo studio - sarebbe "doveroso, non solo sotto il profilo etico, ma anche sotto quello sociale ed economico".

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