martedì 24 novembre 2020
Il tasso di occupazione femminile scende al 48,8%, Italia penultima dopo la Grecia. Ricerca Inapp sul post-lockdown: le donne costrette a rinviare il rientro in ufficio per i carichi familiari
Le lavoratrici della Whirlpool di Napoli in presidio

Le lavoratrici della Whirlpool di Napoli in presidio - Ansa

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Hanno perso il lavoro o hanno dovuto posticipare il loro rientro in ufficio, hanno visto il loro reddito restringersi e i carichi di cura aumentare in maniera esponenziale. È questo il paradosso, uno dei tanti, che in questi mesi si è abbattuto sulle donne, aumentando il gender gap. Una sorta di "doppia tenaglia" che ha spinto le lavoratrici in una condizione sempre più difficile. L’anello fragile della catena, insieme ai giovani, come certificano i dati Istat diffusi ieri sulla perdita di posti di lavoro. Nel secondo trimestre dell’anno sono rimaste a casa 470mila lavoratrici. Il tasso di occupazione femminile è sceso al 48,8%, quasi venti punti in meno di quello maschile (che è al 66,6%) portando l’Italia sul penultimo gradino in Europa, subito dopo la Grecia. Un effetto collaterale di questo impoverimento e del clima di paura legato alla pandemia è il crollo delle nascite: nel 2021, secondo le stime al momento disponibili, i nuovi nati non supereranno quota 400mila. Lo Svimez ha messo l’accento sull’ulteriore svantaggio che colpisce le lavoratrici del Mezzogiorno più precarie e meno pagate delle colleghe del Nord. Il 20% di loro ha una retribuzione oraria inferiore ai due terzi di quella media. Anche le imprenditrici pagano un prezzo salato: una ricerca di Unioncamere evidenzia un crollo dell’imprenditoria femminile del 42,3% nel secondo trimestre dell’anno contro il 35,2% di quella maschile. Una maggiore fragilità legata da un alto le piccole dimensioni, quasi la totalità ha meno di 10 dipendenti, dall’altro al settore di attività (nel 66,5% dei casi quello dei servizi).

Numeri a parte, sembrano essere due i fenomeni da contrastare: l’abbandono del lavoro delle donne come "scelta familiare" e la prevalente gestione femminile della cura di figli e anziani, inderogabile durante la pandemia ma raramente condivisa dagli uomini. Li ha analizzati lo studio "Il post lockdown: i rischi della transizione in chiave di genere" dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp) basato su 689 interviste. Il rientro al lavoro non è stato uguale per tutti. La differenza retributiva ha riportato al lavoro per primo il partner che guadagna di più e il carico familiare, dall’accudimento dei figli ai genitori non più autosufficienti, è stato in gran parte di competenza femminile. L’insieme di questi fattori ha portato nel 15% dei casi ad un "accordo familiare" in base al quale la donna ha rimandato il suo rientro al lavoro sino alla decisione di abbandonarlo. La retribuzione femminile mediamente più bassa e l’assenza di condivisione del partner di fatto ha reso il lavoro delle donne "sacrificabile". Un quadro che non è stato favorito neanche dall’utilizzo del Congedo Covid 19, la misura del governo che si proponeva di favorire il riequilibrio del carico di cura nella coppia. Il 90% delle donne lo ha utilizzato interamente per sé e solo l’8% ha diviso i giorni con il partner.«Se si volesse definire con uno slogan la caratteristica del periodo che va dal 4 maggio in poi, in ottica di genere, potrebbe essere "men first"» si legge nel report. «Dall’indagine svolta dal nostro istituto emerge che il carico di cura incide fortemente sulle dinamiche della transizione tra la fase del lockdown e la fase della graduale ripresa delle attività lavorative – ha spiegato il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda – acutizzando la diseguaglianza di genere e intralciando una più robusta ripresa economica».

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