sabato 25 aprile 2020
Per la nuova linea "sanitaria" serve un atto giuridico che abbia pari forza delle condizioni previste nel Trattato salva-Stati. Il nodo della responsabilità sul nuovo debito del Recovery fund
L'Europa Building a Bruxelles, sede degli incontri del Consiglio Europeo

L'Europa Building a Bruxelles, sede degli incontri del Consiglio Europeo - Ansa

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Una buona opportunità ancora tutta da costruire. È, in sintesi estrema, lo stato dell’arte sul pacchetto europeo di aiuti per l’emergenza coronavirus scaturito dall’ultima riunione di giovedì scorso fra i leader europei. Pacchetto che vede sinora un ruolo-guida indiscusso da parte della Bce, con il suo nuovo Quantitative easing basato sull’acquisto di titoli degli Stati membri per 750 miliardi di euro, in attesa delle altre due vere novità: l’ormai famosa nuova linea di credito del Mes (Meccanismo di stabilità) e - ultimo arrivato - il Recovery fund, l’ultimo passo in avanti. Senza nulla togliere alle altre due "gambe": il piano di garanzie alle imprese della Bei e il fondo Sure anti-disoccupazione da 100 miliardi in tutto che, quindi, al tirar delle somme per l’Italia vale solo 15 miliardi (che restano peraltro un prestito da rimborsare), pari al pagamento di un paio di mensilità di cassa integrazione o poco più. Sui primi due pilastri il dibattito è già rovente e continuerà a esserlo per le prossime settimane. Anche per questo è bene far chiarezza su alcuni punti.
La tempistica e le risorse. La prima sottolineatura è persino ovvia, ricordata da molti in interventi e interviste: la questione dei tempi è decisiva. Per non ritrovarsi con un continente fiaccato e sfibrato dalla crisi, con migliaia di imprese costrette alla chiusura, le somme derivanti dai titoli che saranno emessi dal fondo dovranno arrivare a destinazione al più tardi entro fine estate. Ogni ulteriore ritardo ridurrebbe il significato di un’iniziativa, al di là della sua validità che resta. Collegato al fattore-tempo, è il nodo delle risorse a disposizione: Ursula Von der Leyen, la presidente della Commissione che ora dovrà presentare una sua proposta entro il 6 maggio, dopo il Consiglio ha solo detto che le dimensioni del Fondo saranno il riflesso di un aumento del bilancio europeo 2021/27 «fino al 2% del Pil» a garanzia dei titoli che saranno emessi, un raddoppio di altri mille miliardi grosso modo rispetto all’oggi dove "pesa" solo poco più dell’1%. Intento lodevole, visto che prima si parlava di una dotazione oscillante fra i 320 e i 500 miliardi, che pareva a molti non adeguata. C’è però da tener conto di un aspetto: questo bilancio aggiuntivo va approvato per renderlo operativo, il che richiede uno "scatto" deciso, visto che fino a febbraio in Europa si litigava sull’innalzamento - solo per pochi miliardi - del bilancio ordinario alimentato dal contributo dei singoli stati.
Il nodo: responsabilità del nuovo debito. Ma se sul bilancio un’intesa si potrà pur trovare dopo l’impegno preso dai capi di Stato e di governo, poco si parla di un altro aspetto-chiave: chi sarà responsabile del nuovo debito emesso a lunga scadenza? Al confronto, il dibattito sul ricorso a prestiti o a trasferimenti a fondo perduto perde rilevanza, dato che anche i primi avverranno comunque a tassi d’interesse bassissimi. Determinante, invece, è stabilire se i Paesi Ue saranno responsabili tutti "in solido" oppure se ciascun Paese sarà responsabile della sola parte di debito (derivante dai titoli futuri) a esso assegnata. Una differenza non da poco, non chiarita, che rischia di scatenare nuove divisioni. E ancora: chi deciderà e chi vigilerà sulla destinazione del debito assegnato a un singolo stato? Sarà come per gli attuali Fondi strutturali Ue o ci sarà un’apposita "tecnostruttura" europea?
L’equivoco (non risolto) sul Mes... C’è poi il dibattito, infinito, sul "nuovo" Mes, che rischia di produrre divisioni in Italia sia nella maggioranza sia nell’opposizione. Perché trasversali sono i fronti di quanti sostengono che la nuova linea di credito è "senza condizioni". Nelle dichiarazioni viene presentata così, ma si trascura l’aspetto giuridico. Il Mes è una istituzione finanziaria creata nel 2012, sulla base di un Trattato intergovernativo, per fornire prestiti a Stati e banche dell’eurozona. Ed è quel Trattato a prevedere condizioni per l’erogazione dei prestiti: questo comporta che - per dar vita alla nuova linea - occorre una deroga che passi per un atto giuridico che abbia almeno "pari forza" del Trattato. C’è poi un altro risvolto: la linea di credito concessa per le spese sanitarie, dirette e indirette (e pure qui non è ancora chiarito cosa si intenda per "indirette"), è prevista fino alla fine della crisi da Covid-19. Ma cosa accadrà dopo? quali regole saranno applicate a tali prestiti? Tutto dipende da cosa verrà scritto nel regolamento che darà vita a questo strumento. Al momento, l’unico atto ufficiale - la dichiarazione dell’Eurogruppo del 9 aprile - lascia un qualche margine di ambiguità, laddove afferma che "successivamente gli Stati membri rimarranno impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’Ue, compresa l’eventuale flessibilità applicata", è questa la dizione usata.
... e quello sulle operazioni Omt. Inoltre, per avallare la bontà del "nuovo" Mes molti sottolineano che esso, di conseguenza, apre le porte alle operazioni Omt, che consistono nell’acquisto da parte della Banca centrale europea dei titoli pubblici del Paese che ne fa richiesta. Si omette di ricordare, tuttavia, che proprio la delibera della Bce sulle Omt (finora mai usate) prevedeva un acquisto "illimitato e condizionato". Ecco che allora, a meno pure qui di una deroga specifica, le condizioni, cacciate dalla porta, potrebbero rientrare dalla finestra.

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