sabato 21 dicembre 2019
Sono due milioni 455mila e rappresentano il 10% del totale della forza lavoro, percentuale stabile dal 2015. Con la crisi il bacino dei lavoratori in nero è in aumento
Occupazione in calo tra i migranti
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La crisi demografica italiana si accentua. I morti prevalgono sulle nascite (374mila nati contro 625 mila decessi nel 2018), ma l'emigrazione di cittadini italiani verso l'estero ha raggiunto nel 2018 quota 117mila connazionali, che hanno cancellato la propria residenza anagrafica in Italia. Dal 2015 al 2018 i residenti stranieri sono aumentati complessivamente di 240mila persone, mentre 446mila italiani hanno trasferito la propria residenza all'estero (a fronte di 156mila rimpatri nello stesso periodo). Lo rende noto l'anticipazione del report annuale sulle migrazioni della Fondazione Di Vittorio-Cgil.

«Un sorpasso - si legge nello studio - che è legato a molti fattori, tra i quali l'acquisizione della cittadinanza da parte di stranieri già residenti, ma va considerato anche che l'emigrazione italiana è sottostimata, come dimostrano le differenze considerevoli tra i nostri dati ufficiali e quelli registrati nei diversi Paesi di migrazione dai relativi uffici immigrazione, in particolare nell'area dello spazio Ue di libera circolazione». Il presidente della Fondazione Di Vittorio, Fulvio Fammoni, sottolinea: «I numeri dimostrano che nessuna invasione è in atto. È necessario invece contrastare una pericolosa e negativa crisi demografica con interventi a sostegno della natalità e a favore di lavoratori e famiglie, ma anche attraverso una equilibrata politica di governo (e non di aprioristico contrasto) dei flussi migratori in entrata legati al lavoro oltre che alla protezione internazionale e ricongiungimento».

Il secondo luogo comune - prosegue il report - che si usa ai fini del consenso è: «Gli immigrati ci rubano il lavoro e/o i nostri soldi». Anche in questo caso è bene fare riferimento alle cifre ufficiali. Il contributo alla crescita economica (Pil) dell'immigrazione è importante: nel 2018 la ricchezza generata dai lavoratori immigrati regolarmente presenti è stimata in 139 miliardi di euro, pari al 9% del Pil totale. Ma, ancora più significativa per confutare lo slogan precedente, è la partecipazione degli stranieri all'incremento del Pil: nel periodo 2001-2011 la crescita cumulata senza il contributo dell'immigrazione sarebbe stata negativa (-4,4%) mentre, grazie alla spinta imputabile alla forza lavoro straniera (stimata pari a +6,6% nello stesso periodo), è risultata positiva (+2,3%). Anche nel periodo 2011-2016 il contributo dell'immigrazione alla variazione del Pil è stato rilevante (+3,3%) e ha contenuto la flessione effettiva (-2,8%) che altrimenti, in assenza degli stranieri, sarebbe stata ben più accentuata (-6,1%).

Gli occupati stranieri sono due milioni 455 mila e rappresentano il 10% del totale dell'occupazione, percentuale stabile dal 2015. Il tasso di occupazione è diminuito nel corso della crisi recente in misura molto più marcata tra gli stranieri che tra gli italiani (tra il 2007 e il 2013 la differenza tra il tasso dei primi e il tasso dei secondi è passata da +9 a +3 punti percentuali) mentre dal 2014 al 2018 i tassi di occupazione degli uni e degli altri hanno seguito lo stesso andamento crescente.

Anche per il lavoro, come per le risorse - sintetizza la Fondazione Di Vittorio - i luoghi comuni vengono smentiti dai dati. Una differenza sostanziale invece esiste e riguarda le professioni, con la prevalenza tra gli immigrati delle qualifiche più basse (uno straniero su tre svolge professioni non qualificate, quattro volte il
rapporto registrato tra gli occupati italiani) e per la percentuale molto alta di occupati sovra-qualificati. Anche il disagio nell'occupazione (lavoro temporaneo e/o part time involontario), è molto più diffuso tra i lavoratori stranieri che tra quelli italiani. La clandestinità: dopo le sanatorie, ultima nel 2011, il bacino dei lavoratori in nero è andato via via aumentando. Le stime di diversi istituti convergono su una cifra attualmente attorno alle 500mila unità, persone costrette ad una vita durissima, che spesso lavorano in nero, sfruttate da "schiavisti" che lucrano sulla loro attività, senza alcun beneficio per lo Stato e ampliando invece quell'area a rischio di illegalità.

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