lunedì 16 gennaio 2017
Il ministro dei Trasporti tedesco accusa l'Italia: «Sapeva delle violazioni sulle emissioni». Bruxelles chiede chiarimenti. Delrio: «Nessuna irregolarità». Ecco tutto quello che c'è da sapere
I pick up Dodge Ram di Fca messi sotto accusa per le emissioni negli Stati Uniti

I pick up Dodge Ram di Fca messi sotto accusa per le emissioni negli Stati Uniti

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Partita dagli Stati Uniti, la vicenda delle presunte violazioni ambientali di Fiat-Chrysler sui motori di alcuni suoi modelli sta ora allargandosi a macchia d'olio. Dopo le accuse arrivate dalla Germania, che ha riportato d'attualità un'inchiesta iniziata nei mesi scorsi, oggi anche l'Unione Europea è intervenuta chiedendo al governo italiano risposte urgenti in merito alle possibili violazioni delle normative comunitarie in materia di emissioni delle autoi che Fca avrebbe commesso nella realizzazione della Fiat 500 X. L'Italia rischia l'apertura di una procedura d'infrazione, strumento che l'esecutivo comunitario starebbe valutando di utilizzare per fare pressione sulle autorità nazionali. La Commissione ha chiesto chiarimenti a Roma dopo la denuncia del ministero dei trasporti tedesco notificata il 2 settembre 2016. Berlino contesta l'incompatibilità del modello Fca con gli standard europei di mediazione. Il caso non ha nulla a che vedere, quindi, con le recenti accuse rivolte al Gruppo dall'agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (Epa) di dati truccati su modelli prodotti in America. Una vicenda tecnica, regolamentare ma anche politica che merita qualche chiarimento.

Qual è l'accusa sul fronte americano?

Fiat-Chysler, il Gruppo automobilistico nato nell’ottobre del 2014 dalla fusione tra l’italiana Fiat e la statunitense Chrysler, e comunemente denominato Fca, è sotto inchiesta da alcuni giorni per una presunta violazione delle norme ambientali in vigore negli Stati Uniti. Gli accusatori sono l’Epa (l’Agenzia Federale per la Protezione Ambientale) e il Dipartimento di giustizia americano, gli stessi enti che rispettivamente scoprirono e sanzionarono lo scandalo “dieselgate” di Volkswagen.Anche in questo caso sotto accusa ci sono alcuni motori a gasolio: l’imputazione nei confronti di Fca è quella di aver violato gli standard consentiti sulle emissioni nocive in Usa, relativamente ai NOx (ossido di azoto), installando dei software (centraline elettroniche) nei motori di alcuni modelli Jeep e Dodge senza darne comunicazione. Le vetture interessate sono la Grand Cherokee 3.0 EcoDiesel 240 CV e la Ram 1500 con motore 3.0 EcoDiesel V6, versioni che non sono vendute in Europa. In tutto sarebberero 104 mila i veicoli coinvolti, prodotti dal 2014 al 2016.

Come si difende Fiat-Chrysler?

La linea difensiva del costruttore italo-statunitense è chiara: il caso di Fiat Chrysler non è come quello di Volkswagen. La stessa Epa non ha accusato Fca di aver installato i software in questione con l’intenzione di frodare i test sulle emissioni delle autorità americane, ma di averlo fatto senza comunicarlo, in violazione comunque del Clean Air Act. Inoltre l’agenzia ambientale Usa non ha imposto a Fca lo stop delle vendite dei veicoli coinvolti, come invece accadde immediatamente per Volkswagen. Ma l’inchiesta va ancora avanti, ed è impossibile in questa fase comprendere quali sviluppi potrà avere.

Cosa rischia Fca?

L’obiettivo dei vertici di Fca è chiaramente quello di limitare il più possibile i danni, nella speranza che i numeri restino quelli già emersi, e che l’impatto sui conti sia il minore possibile. È impossibile al momento quantificare l’eventuale multa che potrebbe essere comminata a Fca. Le violazioni di cui è accusata implicano una sanzione fino a 44.539 dollari per auto, per un totale dunque di 4,63 miliardi di dollari: una cifra destabilizzante per il Gruppo italia-americano che nel bilancio attuale ha già un debito da 6,5 miliardi di euro. Marchionne ha rassicurato: «anche di fronte alla massima sanzione, sopravviveremo» ha detto. Malgrado, come detto, non ci siano analogie sulle imputazioni, il caso Volkswagen è comunque indicativo: usando gli stessi parametri ipotizzati oggi per Fca, il Gruppo tedesco avrebbe dovuto pagare per il suo dieselgate 17 miliardi di dollari. La partita con le autorità americane si è chiusa invece con un conto ben più leggero.

Quanto pesa (e peserà) l’aspetto “politico” sulla vicenda?

Per ora i contatti sono solo a livello tecnico, aspettando che negli Stati Uniti si insedi la nuova amministrazione guidata da Donald Trump, col presidente eletto che entrerà alla Casa Bianca venerdì 20 gennaio. Nei giorni immediatamente successivi anche i vertici operativi dell’Agenzia Federale per la Protezione Ambientale verranno cambiati e a capo dell’Epa arriverà Scott Pruitt, personaggio ritenuto molto meno ambientalista di chi lo ha preceduto, e come Trump scettico sul tema dei cambiamenti climatici dovuti all’inquinamento. C’è dunque da immaginarsi un cambio di rotta rispetto alla gestione attuale della politica industriale e delle politiche ambientali, queste ultime finora affidate da Obama a all’attuale direttore dell’Epa, Gina McCarty. Ciò potrebbe rappresentare un vantaggio per le sorti di Fiat-Chrysler, senza contare l’interesse che Trump ha di non vedere colpito un Gruppo come quello di Marchionne che ha promesso la creazione di 2 mila nuovi posti di lavoro in America investendo un miliardo di dollari in Michigan e in Ohio, due degli stati chiave che hanno dato la vittoria al tycoon.

Perchè esiste anche un “fronte Europeo”?

L’indagine americana sulle emissioni di 100 mila Jeep Grand Cherokee e Dodge Ram 1500 ha fatto riesplodere intanto lo scontro tra la Germania e l’Italia, finito sul tavolo della Commissione europea: il ministro dei Trasporti tedesco, Alexander Dobrindt, ha infatti chiesto a Bruxelles di «garantire il richiamo di alcuni modelli del Gruppo Fca», scatenando l’immediata reazione del nostro governo. La diatriba con Berlino prosegue da mesi e riguarda le emissioni dei diesel 2.0 litri della Jeep Renegade, della Fiat 500X e della Fiat Doblò. Secondo le verifiche della Kba, l’agenzia di controllo tedesca, avviate dopo l’esplosione del dieselgate Volkswagen, le vetture monterebbero «un dispositivo illegale» e un «catalizzatore anti-NOx»: accuse che Roma ha sempre respinto al mittente, parlando della presenza di un software «che rimodula il controllo delle emissioni solo a fini di protezione del motore». Eppure, Dobrindt è tornato all’attacco: «Le autorità italiane sapevano da mesi che Fca, nell’opinione dei nostri esperti, usava dispositivi di spegnimento illegali», ha spiegato il ministro, aggiungendo che il Gruppo si è «rifiutato di chiarire». Da qui l’appello alla commissione Ue, chiamata a «garantire il richiamo» delle tre vetture.

Come ha reagito l’Italia?

Le frasi di Dobrindt sono state duramente respinte al mittente dal ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, il quale ha invitato il governo tedesco a «occuparsi della Volkswagen». Molto chiara anche la risposta del ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Graziano Delrio, il cui discastero è responsabile delle omologazioni delle vetture per l’Italia: «La richiesta di Berlino è totalmente irricevibile. Abbiamo accettato la mediazione di Bruxelles perché non abbiamo niente da nascondere. I nostri test dimostrano che non esistono dispositivi illegali e comportamenti anomali». Il nostro governo però ha annunciato un rapporto finale sulla materia entro fine febbraio, inizio marzo.

E non c'è nessun problema per gli incontri alla Commissione di mediazione Ue su Fiat 500X: «Non è stato disdetto alcun appuntamento», rassicura il ministero dei Trasporti, che aggiunge: «Dai test sulle emissioni sui veicoli Fca, compresa la Fiat 500X, i veicoli risultano conformi».

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