mercoledì 6 aprile 2016
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Per anni la Commissione europea ha fatto finta di non vedere che alcuni Stati membri aiutano le multinazionali a raccogliere in una società fantoccio tutti i profitti ottenuti nel Vecchio Continente e quindi spedirli ai Caraibi pagando una quantità ridicola di tasse. Apple, per esempio, negli anni ‘80 è stata all’avanguardia nell’ideare il famigerato “double irish”, il sistema che permette di 'raccogliere' in una società irlandese gli incassi europei e quindi trasferirli tutti o quasi, a titolo di diritti sulla proprietà intellettuale, a un’altra società 'incorporata' in Irlanda ma con residenza fiscale ai Caraibi. Un’ottima soluzione, legale, per costruirsi un gruzzoletto offshore. In alcuni casi questo sistema si appoggia anche all’Olanda, che ha il “vantaggio” di non tassare i dividendi incassati dall’estero e avere firmato decine di patti fiscali internazionali che consentono di mandare i denari verso destinazione esotiche. Ormai quattro anni fa un’inchiesta del NewYork Times mostrò come Ap- ple avesse trasferito con questo sistema miliardi di euro nelle Isole Vergini Britanniche. Il sistema è ormai molto diffuso. Lo scorso febbraio è emerso che nel 2014 l’olandese Google Netherlands Holdings una volta incassate le royalties per l’attività europea del motore di ricerca ha girato quasi tutto l’incasso, 10,7 miliardi di euro, a Google Ireland Holdings, società incorporata in Irlanda ma basata alle Bermuda. Facebook, con un sistema simile, i soldi li spedisce alle Cayman. Per anni decine di grandi multinazionali, soprattutto americane, hanno spedito il denaro ai Caraibi senza che a Bruxelles nessuno avesse molto da ridire. Le cose sono cambiate dopo l’insediamento della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, che all’inizio del suo mandato ha rischiato di essere travolto dallo scandalo Luxleaks. A Margrethe Vestager, commissario danese alla Concorrenza, è stata data ampia libertà nel combattere le aziende che approfittano delle furbizie fiscali permesse da alcuni stati membri. Vestager ha scelto un approccio nuovo: l’Antitrust indaga per capire se ci sono stati accordi specifici tra i paesi “furbi” e le multinazionali, intese precluse ad altre aziende e quindi in contrasto con le norme europee sulla concorrenza. Su questa base ci sono stati i procedimenti su Starbucks, McDonald’s e Fiat Finance in Lussemburgo e quelli su AbInbev e Starbucks in Belgio. Affari da qualche decina di milioni di euro che hanno aperto la pista verso il pesce grosso: Apple, i suoi accordi con l’Irlanda, la cassa mostruosamente grande (più di 200 miliardi di dollari) accumulata all’estero dal gruppo di Cupertino. Il Ceo di Apple, Tim Cook, è andato personalmente a incontrare Vestager lo scorso gennaio per cercare di convincerla della bontà dell’organizzazione irlandese della nazionale. L’incontro non deve essere andato molto bene se qualche giorno dopo è dovuto intervenire Jack Lew, segretario al Tesoro degli Stati Uniti d’America, per dire che la strategia del commissario europeo potrebbe creare «degli inquietanti precedenti nelle politiche fiscali internazionali». Questo fine settimana Lew e Vestager si incontreranno a Washington in quella che, scriveva ieri il Financial Times, potrebbe essere «l’ultima tappa diplomatica prima della decisione della Commissione europea su Apple». Ecco il problema: una volta che Bruxelles si è accorta di avere diritto di chiedere conto a società come Apple di quella montagna di miliardi di euro costruita in Europa ma spedita ai Caraibi, gli Stati Uniti si sono allarmati. Quei miliardi fanno gola a tutti. A Washington stanno lavorando da tempo per convincere le loro multinazionali a portare i soldi in patria (si parla 750 milliardi di dollari, secondo una stima recente di Credit Suisse): Obama aveva provato a lanciare una tassa una tantum sul rimpatrio del denaro tenuto all’estero, abbassando l’aliquota al 14% dall’attuale 35%, ma non è riuscito ad arrivarci in fondo. I candidati repubblicani alla presidenza hanno fatto proposte simili, con aliquote anche più basse. Nell’attesa che a Washington elaborino un’offerta convincente, a Bruxelles sperano di conquistare una bella fetta di quei tesoretti caraibici. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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