giovedì 21 maggio 2009
Dalla Città del Vaticano una serie di precisazioni dopo che articoli di stampa hanno sollevato dubbi sulla regolarità delle emissioni. Parla il capo del Museo filatelico e numismatico: la convenzione sulle quantità e sulla destinazione è stata rispettata.
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Ma è proprio vero che l’Euro del Vaticano è una moneta che non circola? Il dottor Pier Paolo Francini non si scompone di fronte alla domanda. Ci sarebbe da aspettarsi una secca smentita o per lo meno una precisazione. E invece il capo ufficio e conservatore del Museo filatelico e numismatico della Città del Vaticano conferma tutto. «È vero – ammette –. Solo l’8 per cento della monetazione divisionale (cioè non in oro e argento), che coniamo ogni anno, è possibile destinarlo alla circolazione. Ma non si è mai agito in difformità dalla vigente convenzione monetaria». Qualche mese fa davanti alla Commissione dell’Unione Europea incaricata di vigilare sulla circolazione della moneta unica, Francini ha spiegato in pratica le stesse cose. Ora ricostruisce per Avvenire una vicenda che in fondo è molto più semplice di quanto non sia stata presentata da certi organi di stampa. I quali da qualche tempo hanno puntato i riflettori sul suo tranquillo ufficio, al piano terra del Palazzo del Governatorato, dove tra ritratti di Papi e riproduzioni di antichi francobolli appesi alle pareti, viene decisa quella che in altri Stati sarebbe definita la «politica monetaria». Dunque è vero che Bruxelles ha "rimproverato" allo Stato della Città del Vaticano di non far circolare i suoi euro. E voi come avete risposto?«Abbiamo risposto che in nessun punto della Convenzione monetaria stipulata il 29 dicembre 2000 tra l’Italia per conto dell’Ue e la Santa Sede per conto della Città del Vaticano è prevista la quantità di monete da destinare alla circolazione e quella per il collezionismo».E per quanto riguarda i rilievi che riguardano l’emissione di diverse serie di monete in poco tempo, nell’anno 2005?«In questo caso le notizie apparse sui giornali sono inesatte. Nel 2005 sono state coniate le normali monete dell’anno, per il periodo in cui era ancora in vita Giovanni Paolo II. Quindi c’è stata la serie della Sede Vacante (le otto monete ordinarie più una moneta d’argento di 5 euro). E solo nel 2006 sono state coniate le prime monete del pontificato di Benedetto XVI. Anche in quell’occasione tutto è stato fatto nel rispetto della Convenzione che prevede il caso di Sede Vacante tra quelli in cui si possono coniare monete, in aggiunta al limite massimo, per l’importo di 300mila euro».C’è dunque un limite massimo per le monete che la Città del Vaticano può coniare?«Certo, come del resto per gli altri Stati. Ma forse è bene cominciare dall’inizio e cioè dalla Convenzione che ho già ricordato. Essa ha preso il posto di quella tra l’Italia e la Santa Sede che originariamente risale al 1929 e che veniva aggiornata ogni dieci anni. Nella sua ultima versione la Convenzione stabiliva che la Città del Vaticano poteva coniare circa un miliardo e duecento milioni di lire ogni anno, naturalmente in monete, perché non ci sono mai state banconote vaticane. Con l’arrivo della moneta unica,l’importo fu convertito in 670 mila euro annui, che però si dimostrarono insufficienti, così nel 2004 l’accordo fu rinegoziato e si arrivò a un milione di euro l’anno. Oggi, per effetto dell’inflazione, possiamo coniare un milione e 74 mila euro l’anno».E qual è la proporzione tra monete circolanti e monete per il collezionismo?«Poco più di 400mila euro vengono coniati in oro e argento, come da antica tradizione dello Stato Pontificio prima, e della Città del Vaticano poi. Gli altri 600mila euro vengono divisi tra moneta circolante (6mila kit completi delle 8 monete che vengono distribuiti ai dipendenti e ai cittadini vaticani e rappresentano circa l’8 per cento del totale) e astucci da collezione (85mila circa), che costituiscono invece il restante 92 per cento». Anche per determinare le proporzioni tra circolante e collezionismo si è tenuto presente ciò che succedeva ai tempi della lira?«Ai tempi della lira c’era più moneta circolante, ma semplicemente perché la lira vaticana sul mercato dei collezionisti aveva poca richiesta e quasi tutta in Italia. Con l’euro, invece, il bacino dei collezionisti è diventato europeo e va anche oltre, così la domanda è cresciuta tanto. Ecco perché oggi abbiamo il 92 per cento destinato al collezionismo. Bisogna però notare che quando c’era la lira le monete auree non rientravano nel "plafond" annuale previsto dalla Convenzione; oggi, invece, vi rientrano ed hanno un "peso" monetario importante».Che cosa succederà d’ora in poi?«Il 10 febbraio scorso la Commissione Ue Economia e Finanza è arrivata a delle Conclusioni per cui la «maggiore parte» delle monete divisionali coniate deve essere destinata alla circolazione. Ciò significa in pratica il 50.1 per cento. Questa conclusione pur non avendo valore cogente impegna moralmente gli Stati dell’area euro e i Paesi che hanno Accordi monetari con l’Unione Europea».E quindi anche lo Stato della Città del Vaticano si adeguerà?«Ovviamente del problema si occupa la Segreteria di Stato. Per parte mia posso far notare che c’è una Convenzione tuttora in vigore e sono in corso contatti per trovare una soluzione che sia conveniente per entrambi. Per esempio, se ci fosse consentito di aumentare la quota massima di euro coniati, fin dal 1° gennaio 2010, e non dal 2011 come ipotizzato, la soluzione sarebbe molto più semplice. Infine reputo opportuno notare come lo Stato della Città del Vaticano abbia iniziato a coniare monete in euro dal 1° gennaio 2002, sempre secondo la succitata Convenzione Monetaria, e non dal 2001 come erroneamente indicato da alcuni organi di stampa».
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