mercoledì 9 ottobre 2019
È una delle ricette suggerite dall'ad della multinazionale di servizi professionali in Italia, Donato Iacovone, per affrontare il cambiamento tecnologico e culturale che investe il mondo del lavoro
Investire di più nella formazione
COMMENTA E CONDIVIDI

Investire su un sistema di istruzione e formazione più inclusivo, elaborare nuovi modelli formativi e aumentare la capacità di attrazione per evitare la fuga di talenti. Queste alcune ricette - giunte dal Capri Digital Summit organizzato dalla EY, multinazionale di servizi professionali - per affrontare il cambiamento tecnologico e culturale che investe il mondo del lavoro e delle aziende. «Il numero crescente delle persone, i nostri migliori laureati, i giovani che lasciano l’Italia comincia a preoccupare – spiega Donato Iacovone, amministratore delegato di EY in Italia e managing partner dell’Area mediterranea –. Nel 2018 oltre 37mila giovani hanno lasciato il nostro Paese e quelli che vengono qui non hanno le stesse skill. È uno sbilanciamento grave in un mondo in cui sono le persone a fare la differenza». Nel nostro Paese, inoltre, la probabilità di laurearsi è 5,6 volte più grande per i giovani con almeno un genitore laureato rispetto a quelli i cui genitori non hanno titoli universitari. La stessa probabilità è pari a quattro per la Germania e 2,1 per la Danimarca. La cosiddetta mobilità scolastica in Italia è molto bassa e il sistema attuale della formazione non aiuta.

«In Italia – aggiunge Iacovone – solo due adulti su dieci partecipano ad attività di formazione professionale», cioè la metà della media Ocse. Insomma, in Italia l’ascensore sociale si è fermato e la nuova generazione, seppur meglio istruita, è più povera delle precedenti. Per raggiungere il salario medio in Italia, occorrono cinque generazioni per i figli di famiglie povere, sono tre in Svezia, Norvegia e Finlandia e due in Danimarca. Inoltre, solo il 60% delle aziende italiane prevede strategie di formazione della forza lavoro, dato ancora più allarmante per le piccole e medie imprese. «Nel 2019 – si legge in un’analisi condotta da Swg per EY – su un campione di Pmi italiane, meno del 40% adotta strategie per aumentare le capacità della forza lavoro». Altro tema riguarda la qualità della formazione in Italia: ancora di rado vengono utilizzati canali innovativi.

Anche il compito delle aziende non è più il profitto a tutti i costi, ma un profitto sostenibile. L’impresa non è più un soggetto isolato dal contesto, ma si inserisce in un sistema che interagisce costantemente con l’ambiente esterno. In questo i manager hanno una grande responsabilità. «I leader di oggi – sottolinea Iacovone - devono pensare a crescere i leader di domani. Leader che non dovranno solo essere eccellenti tecnicamente e nella gestione di persone e dinamiche di potere, ma a cui si chiederà di saper comunicare, immaginare l’evoluzione della tecnologia e sviluppare empatia e soluzioni nei confronti delle persone e della comunità. Le nuove generazioni di manager stanno mettendo la sostenibilità del business al centro delle loro riflessioni. E secondo la ricerca Swg per EY quasi l’80% dei lavoratori ritiene che siano le imprese a dover guidare la rivoluzione culturale della sostenibilità. L’innovazione non può essere più importante della società, della cultura, dell’ambiente nei quali quell’innovazione si sviluppa e ai quali si applica. E questa considerazione è particolarmente significativa oggi: di fronte alle sfide epocali che dobbiamo affrontare, le considerazioni sociali e culturali devono necessariamente soccorrere chi deve prendere decisioni economiche e tecnologiche».



Proprio secondo l’indagine di Swg , risulta che il 60% dei lavoratori di imprese medio-grandi pensa che le aziende italiane siano poco attente all’ambiente. Da Iacovone arriva l’invito «a occuparsi di sostenibilità ambientale, ma anche sociale perché è possibile gestire e produrre business, vendere prodotti o servizi se vi è anche una pace sociale, una sostenibilità dei modelli, se siamo capaci di includere le persone che arrivano in un Paese». A cambiare devono essere anche le «forme della produzione» oltre che quelle «del consumo» che finiscono per generare «il cambiamento climatico. Vanno cambiate anche in nome della sopravvivenza stessa del sistema economico». Bisogna sostenere «quella nuova generazione di manager che stanno mettendo la sostenibilità dei business al centro delle loro riflessioni». Una necessità per le aziende ma non solo. «La generazione Greta – ha concluso l’ad di EY – rappresenta le persone che chiedono maggiore impegno perché ci si occupi del futuro dei giovani. Senza sostenibilità ambientale e, quindi sociale, non c’è più business. Secondo la ricerca di Swg, due italiani su tre acquistano più volentieri prodotti e servizi di aziende note per il loro impegno sociale».



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: