mercoledì 11 gennaio 2017
Il gabinetto federale tedesco ha approvato un disegno di legge che obbliga le aziende a fornire informazioni sui livelli salariali a parità di mansioni. Nel Paese le disparità sono al 21%
«E tu quanto guadagni?». Varato ddl per equità salari tra uomini e donne
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Nonostante un’opposizione feroce, il gabinetto federale tedesco ha approvato ieri un disegno di legge che nelle intenzioni dovrebbe attenuare le disparità salariali tra uomini e donne. Come? Dando la possibilità alle lavoratrici di esigere informazioni sugli stipendi dei colleghi maschi con pari mansioni. Una richiesta che potrebbe provocare contrasti in azienda, ma che dovrebbe spingere i direttori del personale a rivedere i livelli retributivi all’insegna di una maggiore equità. Si prevede anche che le aziende con più di 500 dipendenti dovranno presentare regolarmente un rapporto sull’equità salariale.

La proposta di legge si è resa necessaria, secondo la ministra della Famiglia, Manuela Schwesig, perché i dati in Germania sono pessimi: la disparità di stipendi tra uomini e donne è oltre il 20% (addirittura del 28% nella fascia di età tra i 45 e i 54 anni, dati Eurostat del 2014, report Gender pay gap) , dislivello tra i più elevati in Europa (peggio fanno solo la Repubblica Ceca e l’Austria). La media Ue del gender gap sugli stipendi orari lordi è del 16,7%.

L’Italia, in questo scenario, è apparentemente virtuosa: mediamente una donna guadagna tra il 6 e il 9 per cento in meno del collega maschio, a seconda della fascia di età, comunque a considerevole distanza da Paesi come Slovenia, Malta, Belgio, dove il dislivello retributivo tra lavoratori e lavoratrici è più basso. Ma c’è un perché che i dati dell’Eurostat non spiegano: le statistiche europee non considerano il basso tasso di occupazione femminile in Italia, e inoltre sono eseguite su un campione che tende a sovrarappresentare le donne laureate e dunque meglio retribuite.

Tornando alla Germania, secondo la ministra Schwesig il provvedimento, se diventerà legge, aiuterà le donne a far valere i propri diritti. Non la pensano così coloro che l’hanno avversata: una parte della Cdu (Unione cristiano- democratica), che teme un aggravio burocratico per le aziende. E anche alcuni sindacati: la procedura – è la tesi – creerà inutili aspettative nelle lavoratrici, discriminate più nella carriera che negli stipendi.

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