lunedì 5 dicembre 2022
Secondo la Commissione Europea sarà bloccato circa il 94% del greggio russo destinato all’Europa. Incertezza sull'impatto della misura: l'Opec+ prende tempo e mantiene invariata la produzione
La Russia ha già detto che non rispetterà il price cap sul petrolio anche se dovrà tagliare la produzione

La Russia ha già detto che non rispetterà il price cap sul petrolio anche se dovrà tagliare la produzione - Reuters

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È entrato in vigore l'embargo Ue alle importazioni (via mare) di petrolio russo e il price cap concordato tra Ue, G7 e Australia, nel tentativo dell'Occidente di limitare la capacità di Mosca di finanziare la guerra in Ucraina. Il nuovo limite al prezzo del petrolio russo è fissato a 60 dollari al barile. L'accordo consente di spedire il petrolio russo a Paesi terzi utilizzando navi cisterna del G7 e dell'Ue, solo se il carico viene acquistato a un prezzo pari o inferiore al limite massimo. La Russia ha già detto che non rispetterà la misura anche se dovrà tagliare la produzione.

Gli Stati del G7 e l'Australia hanno concordato un tetto massimo di 60 dollari al barile per il prezzo del greggio russo trasportato via mare, dopo che i membri dell'Unione Europea hanno superato la resistenza della Polonia. Secondo stime della Commissione Europea, sarà bloccato circa il 94% del greggio russo destinato all’Europa. Il 5 febbraio sarà poi la volta dei prodotti petroliferi raffinati. "La Russia - precisa un alto funzionario Ue - dipende dai servizi vari legati al G7 plus, come trasporto, assicurazioni o finanziamenti, per muovere 1 milione di barili al giorno: sarà difficile per loro trovare alternative nel breve-medio termine".

L'impatto reale dell'embargo europeo e del price cap non è ancora chiaro, ma Mosca ha ribadito chiaramente anche al termine della riunione dell’Opec+ di domenica che non intende vendere il suo oro nero a nessuno di coloro che adotta il tetto ai prezzi. "Venderemo petrolio e prodotti petroliferi ai Paesi che lavorano con noi sulla base delle condizioni di mercato anche se questo volesse dire che dobbiamo ridurre un po' la produzione", ha detto il vice primo ministro russo Alexander Novak.

I trader prevedono un calo delle esportazioni petrolifere russe nei prossimi mesi e l'entità del calo determinerà probabilmente l'andamento del prezzo del petrolio nel 2023, ovvero se le quotazioni affonderanno o saliranno. "Non sappiamo se il price cap eviterà distruzioni sul mercato o se Mosca ha qualcosa di ancora più distruttivo in cantiere", mette in evidenza l’analista Helima Croft. Il timore è quello di un calo delle quotazioni in grado di convincere l'Arabia Saudita a intervenire per difendere i prezzi, infliggendo così un duro colpo alla speranza di un'inflazione più contenuta in molte economie il prossimo anno.

Anche a causa dell'incertezza sull'impatto delle nuove misure, domenica l'Opec+ ha preso tempo mantenendo invariati gli attuali livelli di produzione, lasciandosi però la porta aperta a un intervento in qualsiasi momento a seconda delle condizioni del mercato. In una breve riunione virtuale, i 13 Paesi dell'Opec e il blocco guidato dalla Russia hanno optato per mantenere lo status quo di fronte all'imprevedibilità della domanda fra le restrizioni a Mosca, i lockdown da Covid in Cina e il rallentamento dell'economia globale. Una mossa attesa dagli analisti, secondo i quali l'atteggiamento di attesa dell'Opec+ ha senso in attesa di capire l'impatto pieno delle nuove misure contro la Russia. "Di fronte ai grandi rischi geopolitici che pesano sul mercato del petrolio, l'Opec+ ha comprensibilmente ritenuto di tenere duro" e mantenere i livelli di produzione decisi in ottobre, spiegano alcuni analisti notando come sul mercato pesa anche l'incognita Cina, il maggiore importatore di petrolio al mondo. I lockdown da Covid hanno rallentato e possono continuare a frenare l'economia cinese, rendendola di fatto meno affamata di greggio.

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