giovedì 4 luglio 2019
I risultati di una ricerca che ha incrociato, per quasi 30 anni, le indagini sulla soddisfazione per la propria vita e i dati sugli investimenti pubblicitari: c'è una forte correlazione inversa
Una veduta di Times Square, la celebre piazza di Manhattan colorata dalla pubblicità (Jose Francisco Fernandez Saura, Pexels)

Una veduta di Times Square, la celebre piazza di Manhattan colorata dalla pubblicità (Jose Francisco Fernandez Saura, Pexels)

COMMENTA E CONDIVIDI

Per ventisette anni quattro economisti hanno indagato attraverso dei questionari la soddisfazione per la propria vita di 900mila cittadini di ventisette Paesi europei. Quindi hanno incrociato quei dati con quelli sugli investimenti pubblicitari. Ne è emersa la conferma di un sospetto che negli studi di economia e sociologia aleggiava da più di un secolo, anche se poche ricerche lo supportavano: la pubblicità ci rende più tristi. Il livello di investimenti pubblicitari in un Paese, infatti, ha una correlazione negativa con la soddisfazione dei suoi abitanti.

Più precisamente, spiegano i ricercatori – Chloé Michel portfolio manager di Swiss Re, Michelle Sovinsky dell’Università di Mannheim, Eugenio Proto dell’Università di Bristol e Andrew Oswald dell’Università di Warwick – «aumenti o diminuzioni nel livello di investimenti pubblicitari sono seguiti, a qualche anno di distanza, rispettivamente da diminuzioni e aumenti nel livello medio nazionale di soddisfazione per la propria vita». I dati sono ovviamente stati "puliti" da altri fattori, come l’andamento dell’economia, il livello di disoccupazione e altre variabili. Purtroppo per noi, l’Italia è nel gruppo di quelli che hanno registrato il maggiore aumento di pubblicità e il maggior calo della felicità dei cittadini.

L’impatto degli spot è considerevole. Spiegano i ricercatori: «Un ipotetico raddoppio della spesa pubblicitaria produrrebbe un calo del 3% del livello di soddisfazione. È circa metà del valore assoluto sulla soddisfazione personale dell’effetto di essere sposati e circa un quarto dell’effetto di non avere un lavoro».

I risultati scientifici si fermano qui. I ricercatori ammettono di non essere in grado di definire il "meccanismo causale" tra l’aumento deglla pubblicità e il calo della soddisfazione. Anche su questo argomento, però, le ricerche vanno avanti da tempo. Negli anni ’70 l’economista americano Richard Easterlin aveva dimostrato che le società non diventano più felici con l’aumento della ricchezza media. Anzi, superato un certo livello di benessere, la felicità tende piuttosto a diminuire.

È un’evidenza fin banale: gli individui hanno preferenze relativistiche, cioè misurano la loro felicità in base a quella di chi è attorno a loro. L’aumento del benessere personale non migliora la soddisfazione se non c’è un miglioramento rispetto alle condizioni degli altri. In questo senso la pubblicità è potente: può avere l’effetto positivo di aiutare le persone a fare scelte di consumo più consapevoli, ma anche quello negativo di stimolare desideri non realizzabili e quindi generare insoddisfazione. I risultati di questa ricerca spingono a pensare che, in un bilancio complessivo, gli effetti negativi superano quelli positivi.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: