giovedì 17 marzo 2022
L’economista Mario Deaglio: «Anche se Pechino comprasse i bond di Mosca il sollievo sarebbe solo temporaneo Da non sottovalutare la nuova impennata dei contagi in Cina»
L'economista Mario Deaglio

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«Le conseguenze indirette di un’insolvenza rischiano di essere molto pesanti se i mercati stabiliscono che l’intero debito russo, compreso quello delle società private, è a rischio default. Perché il valore si ridurrebbe ancora di più rispetto a un livello attuale già basso e, di conseguenza, per Mosca risulterebbe a dir poco complicato fare nuovo debito». Mario Deaglio, tra i più autorevoli economisti italiani e curatore del rapporto annuale del Centro Einaudi sull’economia globale e l’Italia, si aspetta che il default russo avrà ripercussioni anche sull’economia reale del Paese: «Nelle scorse settimane si è già verificato un impatto molto forte, con il rublo crollato quasi del 50% del suo valore, poi lievemente rimbalzato, adesso nel giro di poco tempo c’è da attendersi in Russia una scarsità di beni, per lo stop alle importazioni dovuto ai costi, e una salita dell’inflazione».

In occasione del default del 1998 della Russia intervennero le autorità internazionali, stavolta non sarà così? L’intervento del Fmi di regola avviene quando il Paese lo richiede. A quel punto inizia la procedura, che può essere rapida se lo Stato assume una posizione collaborativa e si impegna a seguire direttive del Fondo per rimettere a posto i conti. In questo caso, a prescindere dall’atteggiamento della Russia, gli organi interni al Fmi dovrebbero poi esprimersi a maggioranza per il via libera al soccorso, cosa che escluderei totalmente possa avvenire.

Potrebbe essere la Cina a compra il debito russo? Possibile, ma sarebbe una soluzione costosa per i cinesi. Dipenderà da quanto Pechino vuole pagare. Se la Cina compra a 10 un debito che vale 100 vuol dire che la Russia in futuro dovrà restituire una differenza cospicua. Ecco perché per Mosca, in ogni caso, il sollievo di un intervento cinese rischierebbe di essere solo momentaneo.

La Cina potrebbe risultare la vera vincitrice di questa guerra? L’aumento del peso internazionale della Cina è sicuramente uno scenario possibile. Non sottovaluterei, tuttavia, un problema interno con cui il Dragone sta facendo i conti, ovvero la recentissima esplosione della pandemia e che ha già avuto come effetto la correzione al ribasso delle stime di crescita. Per un’impennata dei contagi è in lockdown Shenzhen. Si tratta della principale area industriale cinese per volume di esportazioni. Il blocco della produzione e delle attività è un fattore da prendere in considerazione per le conseguenze sul mercato cinese e non solo.

Si può fare una stima dell’impatto della guerra in corso sulla crescita globale? Stima è una parola grossa, che richiede un procedimento di calcolo non semplice da effettuare a guerra in corso. Si può indicare una tendenza: prima dell’invasione russa, ma già con forti tensioni, si ipotizzava un calo dello 0,2% rispetto alle lusinghiere previsioni autunnali, dovuto 'all’effetto Russia', calo che poi è diventato dello 0,5-0,7% con l’inizio delle ostilità. Allo stato attuale probabilmente siamo arrivati a una flessione che va dall’1% all’1,5% rispetto alle condizioni pre-crisi ucraina.

Alla luce del contesto mutato la Bce cambierà la sua politica monetaria? Credo di sì. Dieci giorni fa la presidente della Bce Christine Lagarde ha confermato che a settembre termineranno gli acquisti di titoli, ma non escluderei che il rialzo dei tassi venisse ritardato, scaglionato e diventasse più leggero. Comunque non è facile per le Banche centrali prendere decisioni efficaci in una fase di stagflazione, che resta la più brutta malattia economica.

Sul piano europeo si aspetta il lancio di nuovi eurobond legati a energia e difesa? Oggi la Bce non può prestare denaro all’Ue, ma solo ai singoli Stati, invece bisognerebbe concedere prestiti direttamente a Bruxelles in vista di una centralizzazione di alcune funzioni e per finanziare progetti comuni, costi militari, spese sanitarie e programmi di sviluppo condivisi. Così i margini di manovra dell’Ue sarebbero decisamente più ampi.

Si aspetta un’ulteriore impennata dei prezzi del gas e del petrolio o ritiene che i livelli attuali sul mercato siano già superiori rispetto alla reale situazione energetica? I prezzi delle quotazioni attuali non sono quelli veri, che dovrebbero essere più bassi perché sul gas le scorte sono a un livello del 40% e anche le forniture finora sono state regolari. Non c’è un’urgenza tale da giustificare prezzi così alti, però per evitare un’emergenza nei prossimi mesi bisogna intervenire.

Come? Per l’Italia, che ha solo tre impianti di gassificazione, mentre per esempio la Spagna ne ha 12, una quota importante di metano deve arrivare per forza dai gasdotti. Per ridurre la dipendenza dalla Russia, ovviamente, occorre aumentare l’import da altri Paesi. Allo stesso tempo sarebbe auspicabile creare una rete europea per le politiche di acquisto e la distribuzione dell’energia.

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