mercoledì 25 maggio 2011
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Non solo Fiat. E non solo Pomigliano e Melfi. Anche negli Stati Uniti, dove pure il quadro regolatorio dei rapporti di lavoro è decisamente più blando del nostro, le imprese sono impegnate in una difficile lotta per contenere gli effetti della competizione internazionale. È il caso della Boeing, uno dei colossi del settore aerospaziale, che ha deciso di trasferire parte della propria produzione nella Carolina del Sud, suscitando un acceso dibattito in America e riproponendo altresì la questione del ruolo dei sindacati oltreoceano. In particolare, la discussione ha origine dal tentativo di limitare il potere delle organizzazioni sindacali avvenuto in alcuni Stati, tra cui la Carolina del Sud appunto, attraverso l’attuazione delle norme c.d. right-to-work (letteralmente “diritto al lavoro”), provvedimenti che conferiscono al datore di lavoro anche una maggiore autonomia in sede di contrattazione. Sono attualmente ventidue gli ordinamenti federali, in particolare al Sud, che prevedono l’applicazione delle suddette norme, secondo cui, a differenza di quanto accade generalmente, l’iscrizione ad un determinato sindacato non viene considerata dall’azienda un requisito determinante ai fini dell’assunzione. Inoltre, eventuali accordi tra la parte datoriale e le associazioni di categoria, così come il prelievo in busta paga della quota di tesseramento, sono ora considerati violazioni della legge. La priorità viene perciò data al lavoro in quanto diritto, di qui la definizione right-to-work, e non quale risultato della adesione ad un organo di rappresentanza. Risulta evidente, tuttavia, che tale normativa riduce sensibilmente il potere di contrattazione e di organizzazione delle unions, che proprio per tale ragione ne contestano la validità, osteggiandone l’applicazione. La vicenda della Boeing, inoltre, è particolare anche per le modalità con cui ha avuto luogo. Nel 2007, l’azienda produttrice di aeromobili annunciava la realizzazione di un nuovo modello, che avrebbe avuto luogo nello Stato di Washington (in cui il right-to-work non trova attuazione), comunicando anche l’inizio dei lavori per la costruzione di un secondo impianto di produzione, al fine di soddisfare una domanda di mercato in continua crescita. Solo due anni più tardi, nell’ottobre del 2009, la compagnia rendeva noto che i nuovi impianti sarebbero stati realizzati nella Carolina del Sud, giustificando tale scelta con il numero elevato di scioperi e manifestazioni avvenute in precedenza e auspicando che il trasferimento in uno Stato in cui vige il right-to-work avrebbe potuto limitare la frequenza delle rimostranze, e di conseguenza il potere dei sindacati promotori degli stessi. Proprio tale motivazione ha indotto il National Labour Relations Board, l’agenzia federale incaricata di regolamentare i rapporti tra lavoratore, datore e organizzazioni sindacali nell’ambito del settore privato a verificare l’esistenza di violazioni alla normativa federale di riferimento. Più precisamente, il trasferimento di un ramo dell’azienda potrebbe contravvenire ad uno dei diritti fondamentali garantito ai lavoratori, quello dello sciopero. L’obiettivo dell’agenzia è quello di risolvere il conflitto venutosi a creare tra i soggetti coinvolti, dando la possibilità alle parti di dimostrare la veridicità o meno delle accuse. L’ultima parole spetta comunque alla Corte d’Appello, la cui decisione potrebbe creare un precedente rilevante per il futuro delle relazioni industriali negli Stati Uniti, nonché aprire nuovi prospettive a livello sindacale.
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