sabato 2 maggio 2020
Associazioni preoccupate per le ricadute. La stima è di 21mila titoli in meno nel 2020. Tra le misure chieste c'è l'istituzione di incentivi
Editoria in crisi, arriva la richiesta di un bonus

Editoria in crisi, arriva la richiesta di un bonus

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Le prime novità torneranno ad affacciarsi già dalla prossima settimana, ma per molti editori la data del ritorno in libreria è fissata al 14 maggio. «Il vero rischio è che, dopo il blocco di questi mesi, troppi titoli slittino a fine 2020 – avverte Giovanni Peresson, responsabile dell’Ufficio studi dell’Associazione italiana editori (Aie) –. Al momento, tra settembre e dicembre si attendono 41mila uscite, che equivarrebbero al 51% dell’intera produzione del 2018. Ma è un dato ancora da verificare». Come ogni altra previsione che riguardi il mondo del libro, si potrebbe aggiungere. Finito sotto i riflettori nelle scorse settimane per la decisione governativa di anticipare l’apertura delle librerie rispetto a quella di altri esercizi commerciali, il settore dell’editoria si prepara ora a una sfida estremamente difficile. «Venivamo da un periodo di risultati incoraggianti – ricorda il presidente dell’Aie, Ricardo Franco Levi –, adesso dobbiamo fare i conti con una gelata che interessa non solo gli editori più piccoli, e solitamente più fragili per tenuta finanziaria, ma anche i grandi gruppi, i cui costi di gestione restano molto alti».Per intuire la gravità della situazione basta fare un altro conteggio, relativo ai titoli che non usciranno più. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio istituito da Aie per valutare l’impatto del Covid-19, quest’anno si pubblicheranno 21mila titoli in meno, con un forte danno sia per le tipografie (si stamperanno 44,5 milioni di copie in meno) sia per i traduttori (2.900 opere non saranno rese disponibili in italiano).

Quello dell’editoria è un sistema molto articolato: nel 2017 occupava in modo diretto 87.200 persone, alle quali andavano a sommarsi le 53.200 dell’indotto, per un totale complessivo di 140.400 operatori. È l’ordine di grandezza al quale si deve fare riferimento quando si apprende che alla metà di aprile il 52% delle quasi cinquemila case editrici attive aveva già fatto ricordo alla cassa integrazione e che un altro 18% circa stava per attivare la procedura.Durante il lockdown le perdite sono state consistenti, anche se i libri non hanno mai smesso di essere venduti. Spiega Alberto Ottieri, che in qualità di amministratore delegato di Messaggerie Italiane rappresenta il più importante distributore del Paese: «I nostri centri hanno lavorato senza soluzione di continuità, rifornendo non solo le librerie che effettuavano consegne a domicilio, ma anche i negozi online e i punti vendita della grande distribuzione organizzata: questi ultimi, in particolare, sono tornati a svolgere un ruolo significativo. Per verificare gli effetti della ripresa bisognerà attendere la riapertura delle librerie in alcune regioni strategiche, prima fra tutte la Lombardia, che da sola costituisce il 30% del mercato».

«In questa fase sono state penalizzate le librerie dei centri storici e sono maggiormente frequentate quelle di quartiere – osserva Paolo Ambrosini, presidente dell’Associazione italiana librai (Ali) –. Nell’insieme la risposta è stata buona, ma il vero banco di prova coinciderà con la ripresa dell’anno scolastico: sarà inevitabile trovare nuove modalità per vendere i libri di testo, così da evitare assembramenti». «Eppure – interviene Peresson – è proprio dalla scolastica che in questo periodo sono arrivati i segnali più interessanti. Si tratta dell’ambito in cui l’integrazione tra cartaceo e digitale si è espressa in forma più avanzata, tanto da costituire un modello su cui riflettere. In generale, nei prossimi mesi molto si giocherà sulla qualità e sull’innovazione dell’offerta, oltre che sulle politiche legate al prezzo di copertina».Nelle settimane di confinamento domestico il digitale si è dimostrato una risorsa preziosa anche per le biblioteche. «Il prestito di ebook si è molto diffuso – conferma Rosa Maiello, presidente dell’Associazione italiana biblioteche (Aib) –, ma la nostra missione non può esaurirsi in questo, perché il rapporto con il cartaceo rimane fondamentale a ogni livello. L’esperienza dimostra che le biblioteche svolgono un ruolo determinante nel formare i lettori e, di conseguenza, nell’invogliare all’acquisto di libri. Ma servono risorse, da destinare all’assunzione di personale competente e all’acquisizione di nuovo materiale».Il potenziamento delle biblioteche costituisce uno dei punti qualificanti dell’appello rivolto in questi giorni al Governo e al Parlamento dalla stessa Aib a fianco di Ali e Aie. Alla richiesta di interventi sul piano della liquidità e degli ammortizzatori sociali si accompagna la proposta di istituire un bonus cultura che riprenda la logica della cosiddetta 18App: «Anche un’eventuale detrazione fiscale per gli acquisti di libri potrebbe risultare utile – sottolinea Levi –. Nell’immediato, però, una dote assegnata a ciascun nucleo familiare avrebbe un effetto molto positivo sul mercato. Senza dimenticare altre criticità, come quelle che riguardano il costo della carta e le spese che le librerie dovranno sostenere per adeguare i locali alle norme sanitarie».Da parte sua Marco Zapparoli, presidente di Adei (Associazione degli editori indipendenti) insiste sull’opportunità di rafforzare la dimensione internazionale del libro italiano e rimanda alle proposte in merito fatte pervenire al ministero degli Affari Esteri. «Ma ci sono anche altri meccanismi da mettere in atto – precisa –. Poste Italiane, per esempio, potrebbe praticare una tariffa speciale, riservata a editori e librai, per la spedizione di pacchi tracciati». Iniziative per il sostegno alla lettura sono sollecitate anche dal documento sottoscritto di recente da Uelci (Unione editori e librai cattolici italiani) e Cec (Consorzio per l’editoria cattolica). «Tutta la filiera è destinata a cambiare – osserva il presidente di Uelci, Gianni Cappelletto –. Nello specifico, penso a un settore per noi cruciale come quello della catechesi. Non possiamo accontentarci di trasferire i sussidi sul digitale, abbiamo bisogno di un ripensamento più ampio e il più possibile condiviso».

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