Il segretario generale della Filca-Cisl, Franco Turri - Archivio
«Un aumento di 100 euro sui minimi salari e una revisione dell’inquadramento e delle mansioni che ormai risalgono agli anni ’70». Sono solo alcune delle richieste che Franco Turri, segretario generale della Filca-Cisl, presenterà alle controparti per il rinnovo del contratto nazionale dell’edilizia.
Formazione, sicurezza, benessere, qualificazione professionale, trasparenza e legalità, giusto salario sono le parole chiave della vostra piattaforma contrattuale.
Dopo centinaia di assemblee a livello territoriale, abbiamo raccolto le proposte dei lavoratori di un settore che sta pagando a caro prezzo la crisi e la pandemia. A fianco del milione di addetti nelle costruzioni, dobbiamo considerarne altri 1,5-1,7 milioni con contratti non edili: installatori, partite Iva. Oltre ai 400mila in nero, soprattutto al Centro-Sud. Ma chi fa lo stesso lavoro deve avere lo stesso contratto per garantire formazione e sicurezza attraverso gli enti bilaterali ed evitare che le aziende applichino altri contratti per risparmiare sul costo del lavoro e sulle tutele. Il nostro è un comparto molto frammentato: il 96% delle imprese edili ha meno di dieci addetti. Tuttavia esiste un problema di carenza di manodopera specializzata. Molte aziende fanno fatica a trovare personale. Le Scuole edili non bastano a colmare il divario. Negli ultimi 12 anni abbiamo perso 800mila addetti. Inoltre gli infortuni e gli incidenti mortali nei cantieri sono in aumento.
Come mai?
C’è voglia di ripresa. Ma la fretta di recuperare il tempo perduto durante il lockdown non può mettere a rischio la vita dei lavoratori. Il sindacato è impegnato in tutti i luoghi di lavoro per il rispetto della normativa anti-infortuni e anti-contagio. Mi rendo conto che servono controlli più sostanziali. Ma sarebbe meglio ridurre drasticamente il ricorso al subappalto e il numero delle stazioni appaltanti. La pandemia non ci ha dato una mano. Anche se non ci sono stati mai così tanti incentivi nell’edilizia privata come in questo periodo: dal Superbonus agli sgravi per le facciate o il risparmio energetico.
E nel pubblico?
Molte opere sono ancora ferme, nonostante gli annunci. Non mi riferisco soltanto alla Gronda di Genova o all’Alta velocità ferroviaria Napoli-Bari. Basti pensare alla messa in sicurezza del territorio o delle scuole. Sono ben 640 le opere incompiute in Italia per un valore complessivo di quattro miliardi di euro, a cui si aggiungono le 400 opere bloccate per motivi burocratico-autorizzativi o per contenziosi vari, per un valore di 27 miliardi di euro. Per un totale di 1.040 opere non completate o bloccate. Il neo ministro delle Infrastrutture, Giovannini, ha assicurato che ci sarà un’accelerata. Se partissero i cantieri delle opere già appaltate ci sarebbero effetti immediati sull’occupazione, con decine di migliaia di operai impiegati. Ma i tempi sono ancora lunghissimi per la realizzazione delle opere: in media servono 15 anni. Bisogna modificare il Codice degli Appalti; snellire gli iter burocratici; potenziare Durc e congruità; digitalizzare le procedure di gara; eliminare il criterio del massimo ribasso.
Verranno accolte le vostre proposte?
Sono ottimista. Anche se l’Ance, l’Associazione dei costruttori, ha abbandonato le trattative nel corso dei rinnovi di secondo livello, sono convinto ci sia spazio per sedersi al tavolo e trovare un accordo. Ci incoraggia anche il rinnovo di altri comparti affini, come quello del Legno. Le assemblee dei lavoratori edili hanno chiesto a gran voce una svolta. Partiamo da una piattaforma unitaria e condivisa. Inoltre i datori possono trovare tanti punti in comune per rendere il lavoro migliore. E qualificare il settore delle costruzioni nel segno dell’innovazione e della sostenibilità.