martedì 9 maggio 2017
Al 2022 il potenziale per le esportazioni di alta gamma in 31 mercati avanzati potrebbe essere di 12 miliardi di euro in più. I falsi e i dazi sono i nodi da sciogliere
Eccellenze italiane in giro per il mondo
COMMENTA E CONDIVIDI

Dall'agroalimentare all'abbigliamento, dall'arredamento alle calzature, dai gioielli agli occhiali, dalle automobili alla meccanica. Sono tanti i settori del made in Italy che riscontrano un successo all'estero. Passata la crisi, infatti, nei Paesi soprattutto extraeuropei si torna a spendere. In particolare nei comparti del Bbf, (cioè Bello e ben fatto). Al 2022 il potenziale per l'export italiano di alta gamma in 31 mercati avanzati potrebbe essere di 12 miliardi di euro in più, secondo il Rapporto Esportare la dolce vita, il potenziale del bello e ben fatto italiano nei mercati avanzati, elaborato dal Centro studi di Confindustria in collaborazione con Prometeia e presentato stamani in un convegno organizzato da Confindustria al Mudec a Milano.

«Ma se prendiamo uno scenario più ambizioso questa cifra aumenta di ulteriori 6,9 miliardi di euro, portando l'incremento complessivo a oltre 18 miliardi di euro». Lo ha rimarcato la vicepresidente di Confindustria per l'internazionalizzazione, Licia Mattioli. «Ora ci sono due strade - ha detto - per aumentare la competitività di settore con agroalimentare, moda,gioielli e design: Investire nella manifattura ad alto valore aggiunto e aumentare il numero degli esportatori».


La vicepresidente di Confindustria ha ricordato alla platea che secondo il rapporto L'Italia nell'economia internazionale, pubblicato lo scorso anno da Ice, gli esportatori nel 2015 sono stati 214.113. Di questi poco più di 30mila hanno registrato un fatturato all'estero al di sopra di 750mila euro su base annua, mentre 138mila operatori hanno esportato al massimo 75mila euro.

Le imprese che hanno scommesso sull'on line hanno visto crescere il fatturato, anche quello tradizionale e, secondo i dati dell'Osservatorio eCommerce B2C di Netcomm e del Politecnico di Milano l'export di prodotti italiani a consumatori stranieri è cresciuto nel 2016 del 17% e supera i 3,5 miliardi di euro, dove il 78% è rappresentato da turismo e moda. La crescita è sostenuta, ma ancora troppo al di sotto rispetto al potenziale. Per questo, un'altra sfida che dobbiamo affrontare per i prossimi anni mettendo la digitalizzazione tra le priorità della nostra agenda perché si tratta di un'innovazione che deciderà il destino delle nostre imprese.

Un'altra leva che andrebbe sfruttata è la sinergia tra prodotti di alta gamma italiani e turismo internazionale. Dai mercati avanzati, infatti, arriva la porzione prevalente degli arrivi dall'estero, con Germania, Stati Uniti e Francia in vetta. Visitatori che sono clienti e soprattutto ambasciatori del made in Italy una volta rientrati in patria. Gli americani in particolare generano il più alto valore di acquisti: 4,3 miliardi nel 2015 (ultimo anno disponibile), con una media di 1.166 euro di spesa pro-capite.

L'Italia, per esempio, è il primo Paese fornitore negli Usa anche per vino e formaggi. Le importazioni di formaggi italiani negli Stati Uniti hanno raggiunto nel 2016 le 34.894 tonnellate, con una crescita dell'8% in volume rispetto al 2015. Sono questi alcuni dei numeri emersi dal convegno Trovare l'America, le opportunità del settore lattiero-caseario negli Usa, organizzato oggi a Milano dall'Alleanza delle Cooperative
Agroalimentari nell'ambito di Tuttofood. «Quella negli Usa è una leadership che il nostro Paese vuole
difendere nonostante le insidie rappresentate dai venti protezionistici della nuova era Trump e dalla crescita del fenomeno del fake italian (il falso italiano, ndr)che danneggia il nostro agroalimentare per oltre 60 miliardi di euro», ha commentato Giorgio Mercuri, presidente dell'Alleanza delle Cooperative Agroalimentari.

Per quanto riguarda le tariffe doganali Usa, se si tornasse alle condizioni precedenti alle liberalizzazioni degli anni '90, il costo per i prodotti di alta gamma italiani sarebbe di 1,4 miliardi di euro inferiore rispetto allo scenario di base dello studio, che parla invece di export in crescita di 12 miliardi di euro. La simulazione è nel rapporto Esportare la dolce vita. L'impatto netto sarebbe però leggermente migliore (-1,2 miliardi di euro verso i Paesi avanzati) ipotizzando ritorsioni commerciali degli altri Paesi contro gli Usa, che causerebbero una perdita da 1,9 miliardi di euro all'export d'alta gamma Usa, avvantaggiando i prodotti italiani che potrebbero guadagnare altrove nuove quote di mercato. Tra i settori del Bbf, verrebbero più penalizzati l'alimentare, che perderebbe 500 milioni di euro, l'occhialeria (-300 milioni di euro), le calzature (-200 milioni di euro) e l'arredo (-120 milioni di euro).

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: