venerdì 1 marzo 2019
Lo studio Baker McKenzie con il Consorzio Farsi Prossimo (Caritas Ambrosiana) ha lanciato il 'Refugee Integration Program'. Percorsi di traineeship in coop e grandi aziende
Il gruppo di avvocati che ha lanciato il Refugee Integration Program

Il gruppo di avvocati che ha lanciato il Refugee Integration Program

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Rifugiati come risorse e opportunità anche economiche per le società dove sono stati accolti. Quella che sembra una bestemmia per la propaganda e il vento che spira nel pianeta reale e in quello virtuale, è un’evidenza compresa da tempo nel circuito delle grandi aziende nazionali e globali. Che collaborano in una rete strategica con il terzo settore non per iniziative assistenziali, ma di responsabilità sociale ormai entrata nel dna di molte imprese. Lo scopo è inserire in ambienti lavorativi persone di talento titolari di uno status internazionale, quello di rifugiato, che nessun governo o ministro potrà mai revocare. Insomma in Italia ci sono e ci resteranno. Inoltre sono motivati perché vogliono integrarsi e diventare autonomi, dunque è interesse della collettività toglierli dal limbo dove spesso precipitano finita l’ospitalità dello Sprar e dare loro una possibilità. In Italia sono 167mila, numero decisamente sostenibile. In un palazzo poco distante da Piazza Duomo, nella sede milanese dello studio legale internazionale Baker McKenzie, l’avvocato Andrea Cicala racconta la sua l’idea di integrazione lavorativa dei rifugiati nel suo mondo, quello produttivo. Un’idea che grazie alle reti ha percorso un lungo cammino. «Una sera di luglio del 2017 – racconta – dopo l’ennesimo sbarco mi sono chiesto cosa poteva fare un cittadino per offrire un futuro al profugo che restava in Italia. Ne ho parlato con una mia ex assistente in studio, oggi docente universitaria di diritto dell’immigrazione, Alessia Di Pascale.

L’idea di puntare sul lavoro per integrare i rifugiati è nata in modo informale. Lei ha avuto l’intuizione di puntare sui titolari di protezione internazionale. Il loro permesso è irrevocabile e loro devono comunque restare nel nostro Paese. È interesse della comunità integrarli affinché raggiungano piena autonomia». La professoressa Di Pascale conosceva le cooperative del consorzio Farsi Prossimo della Caritas Ambrosiana «Eravamo in un percorso parallelo senza saperlo – spiega il presidente del consorzio Giovanni Carrara – noi stavamo partecipando al bando europeo Fami cofinanziato dal Viminale per l’integrazione lavorativa dei rifugiati». Dall’incontro tra lo studio internazionale e il consorzio di cooperative nasce la vo- lontà di collaborare. I fondi per i tirocini ci sono, la sfida è trovare aziende, ascoltare le necessità e scegliere i candidati. «Il ruolo del Consorzio è stato fondamentale – riconosce Cicala – perché conoscono le persone e da anni lavorano bene con i rifugiati. Da parte nostra abbiamo contattato diverse aziende presentando il progetto». La proposta ha un inaspettato successo. Alcune aziende hanno aderito subito, altre hanno preso tempo. C’è chi preferisce ancora oggi non apparire e chi aderisce apertamente. Come Mantero, antica e nota azienda tessile lombarda, dove dopo il tirocinio sono stati assunti a tempo indeterminato tre rifugiati. Dopo una attenta selezione curata dal 'Farsi prossimo' i tre in azienda hanno dimostrato di avere attitudini adatte a un lavoro particolare come la scelta e l’abbinamento dei tessuti e dei colori delle stoffe. Altri sono stati assunti in una prestigiosa maison di moda, Roberto Cavalli. In Baker McKenzie tre persone sono state inserite ai servizi generali, alla reception e ai servizi informatici. «Non è stato tutto facile, ovviamente – commenta il legale –. Ma la motivazione trovata nei tirocinanti è stata alta. Un’esperienza da riproporre anche nelle nostre sedi ad esempio in Europa».

A volte ci sono problemi di lingua perché i rifugiati provengono da Afghanistan, Turchia, Pakistan o dall’Africa subsharia. E poi i problemi culturali. Uno dei rifugiati in tirocinio, ad esempio, svolgeva benissimo il proprio lavoro in un albergo di una grande catena. Ma andava via un’ora prima. Quando gli è stato fatto notare ha risposto che, esauriti i compiti assegnati, non voleva farsi pagare in più. Non sapeva che il salario non è orario. «La presenza dei rifugiati nei team – aggiunge Cicala – ha migliorato i rapporti. Tutti si concentrano su di loro e le dinamiche relazionali cambiano ». L’assunzione di un rifugiato è spesso un successo anche del gruppo, passaggi fondamentali come l’autonomia abitativa o il ricongiungimento famigliare sono condivisi. «Cadono barriere e pregiudizi perché il rapporto è interpersonale». Per Giovanni Carrara è una sfida vinta. «Il progetto proponeva un centinaio di tirocini su scala nazione, una trentina sono stati assunti. Abbiamo scelto le persone in base alle caratteristiche richieste trovando nelle aziende interlocutori attenti. Credo che si sia dimostrato che nei centri di accoglienza ci sono persone che sono risorse e non un peso. La Germania l’ha capito per prima nel 2015. Vogliamo continuare questa collaborazione strategica con il mondo produttivo». L’attenzione ai rifugiati e alle loro capacità si sta affermando su scala globale. Negli Usa il rifugiato curdo Hamdi Ulukaya, divenuto imprenditore di successo in campo alimentare, che ha dato vita a Tent.org, piattaforma di aziende che assumono rifugiati e sostengono le loro startup. In Italia Generali attraverso Il programma aziendale Safety Net si propone di realizzare il potenziale imprenditoriale dei rifugiati affinché possano procurarsi con dignità i mezzi di sostentamento creando 500 nuove imprese, posti di lavoro e opportunità professionali. Sulla terrazza del palazzo milanese che ospita Baker McKenzie l’avvocato Cicala guarda i grattacieli di Milano in perenne costruzione come la fabbrica del Duomo: «Milano cresce ed è sempre cresciuta perché accoglie ». Un modello replicabile in molte aree del nostro strano Paese.


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