venerdì 4 luglio 2014
La nuova liquidità che Francoforte intende far arrivare a imprese e famiglie potrebbe raggiungere 1.000 miliardi di euro.
Ma su euro e Borse influiscono di più i segnali dagli Usa 
COMMENTA E CONDIVIDI
La diagnosi è precisa, la terapia suggerita pure, anche se i farmaci prescritti sono due e potrebbero risultare apparentemente in contrasto fra loro: l’Europa non cresce (abbastanza) perché alcuni Paesi non hanno completato le riforme strutturali necessarie. Nell’Eurozona, cioè, i rischi al ribasso per la crescita che tuttora si stagliano all’orizzonte sono legati all’insufficienza delle misure varate dai governi oltre che «alla domanda interna più debole del previsto». Ecco dunque la prima medicina: «Per rafforzare le fondamenta di una crescita sostenibile e di solide finanze pubbliche, i Paesi dell’area euro non devono mandare all’aria i progressi fatti con il consolidamento fiscale, in linea con il Patto di Stabilità e di Crescita, e devono proseguire con le riforme strutturali nei prossimi anni». Uno sciroppo dal sapore dolce per i fautori del rigore, soprattutto tedeschi, e che Mario Draghi – non a caso – ri-prescrive nella settimana in cui ha debuttato il nuovo Europarlamento e il premier Matteo Renzi ha inaugurato il semestre di presidenza italiana. Contemporaneamente, però, il presidente della Bce manifesta l’intenzione di irrorare imprese e famiglie europee con 1.000 miliardi di euro: a tanto dovrebbero ammontare gli «Ltro», i nuovi prestiti a lungo termine destinati alle banche, condizionati all’effettivo impiego per l’economia reale. E questo piace un po’ meno ai cosiddetti «falchi», soprattutto tedeschi, che non vedono di buon occhio misure monetarie iper-espansive, foriere magari di un vero e proprio «quantitative easing» in salsa europea, ovvero l’acquisto diretto da parte dell’Eurotower di titoli di Stato. Francoforte ha iniziato per l’appunto a intensificare i lavori preparatori per il lancio di un programma di acquisto di cartolarizzazioni i un contesto di tassi d’interesse – lasciati ieri dal Direttorio all’attuale 0,15%, il minimo storico – che rimarranno «bassi a lungo».Il medico Draghi, dunque, sembra voler somministrare con sapienza politica – oltre che monetaria – le sue medicine pur di rimettere in piedi un’economia europea tuttora convalescente e sempre a rischio ricadute (in Italia soprattutto per eccesso di debito pubblico). «La combinazione delle misure decise il mese scorso ha portato a un ulteriore allentamento delle condizioni della politica monetaria», ha spiegato Draghi. «Le operazioni che si terranno nel corso dei prossimi mesi daranno ulteriore supporto e favoriranno il credito bancario», ha aggiunto, ripetendo che il consiglio Bce è unanime nell’impegno a utilizzare tutti gli strumenti non convenzionali per contrastare il rischio di un periodo troppo prolungato di bassa inflazione. L’ipotesi degli acquisti dei titoli di Stato resta dunque un’opzione, ma solo «se dovesse cambiare la nostra valutazione sull’inflazione», con il manifestarsi di una vera e propria trappola deflattiva. Per ora il consiglio Bce, nel resoconto di Draghi, continua a vedere «rischi limitati» sui prezzi e quindi sulla deflazione, pur con il carovita nei Diciotto che aumenta solo di uno 0,5% annuo (0,3% in Italia) contro l’obiettivo vicino al 2% della Bce. Draghi ha annunciato infine che a partire dal gennaio 2015 i meeting della Bce si terranno ogni sei settimane, invece che con l’attuale cadenza mensile, con conseguente allungamento della durata del periodo di mantenimento della riserva obbligatoria. Contestualmente, com’è da tempo costume per la Federal Reserve americana, la Bce si impegna a pubblicare resoconti regolari dei meeting di politica monetaria.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: