venerdì 9 marzo 2018
Tassi fermi. Il Quantitative easing non sarà prorogato, ma la Bce teme la guerra commerciale dei dazi partita dagli Usa
Draghi: instabilità e dazi minano la crescita economica
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Con una crescita in via di rafforzamento non mancano alcuni pericoli da sventare sia a livello internazionale sia, nel suo piccolo, sul piano italiano, per evitare un eccessivo stallo post-elettorale. La Bce dimostra a suon di numeri, di stime e di atti concreti che la crescita c’è e si fa progressivamente più robusta, ma allo stesso tempo tocca a Mario Draghi porre l’accento sui principali rischi in corso o dietro l’angolo.

Il pericolo di una guerra dei dazi

Il presidente dell’istituto centrale vede come una minaccia – soprattutto nel medio e lungo termine – la guerra commerciale dei dazi partita dagli Usa e a cui l’Ue è pronta a rispondere per le rime. In merito alle tasse introdotte sull’import di acciaio e di alluminio negli Stati Uniti da parte dell’amministrazione Trump, il numero uno di Francoforte ha affermato che sono «pericolose» azioni unilaterali in quel campo: «Se metti tariffe contro i tuoi alleati, ci si chiede 'chi sono i nemici?'». Effetti negativi non si temono a stretto giro, ma in prospettiva futura sì: «Le ricadute immediate delle decisioni sul commercio non saranno grandi inizialmente, ma quello che colpisce, al di là di quella che può essere la posizione sulle politiche commerciali, è che certe questioni dovrebbero essere risolte in un contesto multilaterale». È evidente che, pur senza entrare nel dettaglio, Francoforte mostra preoccupazione sullo stato delle relazioni internazionali, e in particolare transatlantiche.

Il voto in Italia. «L'euro è irreversibile»

Passando poi al quadro politico italiano disegnato dalle Politiche del 4 marzo, Draghi non entra nel merito del responso, ma sottolinea l’importanza di riuscire a dar vita a un governo. L’esito delle elezioni in Italia non sembra aver «minato la fiducia», ma per il timoniere dell’Eurotower «non bisogna sottovalutare» la possibilità che ciò si possa verificare nel caso di «protratta instabilità». A chi in conferenza stampa – ieri, dopo la riunione del Consiglio Bce – gli ha chiesto un commento su un responso alle urne senza vincitori certi, Draghi ha fatto notare che «i mercati non hanno reagito in maniera eccessiva». Certo, la sostenibilità dei conti resta «la preoccupazione principale per i Paesi ad alto debito », ha aggiunto rispondendo a una domanda sull’eventualità di una marcia indietro post- voto dell’Italia sulla riforma delle pensioni e sul Jobs Act. Ma a chi paventa il rischio di una svolta anti-europea ha replicato in modo perentorio: «L’euro è irreversibile e resta una priorità».

Ottimismo sulla ripresa europea

Nonostante qualche nube all’orizzonte ci sia, Francoforte lancia segnali di ottimismo sulla ripresa europea. Perché è vero che i tassi restano invariati, ma relativamente al Quantitative Easingper la prima volta si elimina dal comunicato l’impegno ad aumentare il ritmo e la quantità degli acquisti di bond nel caso in cui «le prospettive diventassero meno favorevoli». La dicitura era stata infatti inserita a fine 2016, quando il QE era stato tagliato da 80 a 60 miliardi di euro. La cancellazione della formula, adesso, è una mossa che i mercati davano abbastanza per scontata, come dimostrano l’andamento dello spread, la reazione appunto delle piazze azionarie (con le Borse tutte in rialzo) e i movimenti dell’euro che va balza in un primo momento fino a oltre 1,24 dollari, per poi raffreddarsi di nuovo sotto quella soglia.

Tornando alla politica monetaria, gli stimoli restano ancora necessari, ma sulla ripresa che verrà anche Draghi è fiducioso, definendola «più rapida delle attese». Si aggiornano verso l’alto, dunque, le stime sul Pil dell’Eurozona che quest’anno registrerà un aumento del 2,4% (un decimale in più rispetto alla previsione di dicembre). Restano invece invariate, rispettivamente all’1,9% e all’1,7%, le stime per il 2019 e il 2020. Quanto all’inflazione, la Bce prevede che si attesterà all’1,4% quest’anno e il prossimo, per poi accelerare all’1,7% nel 2020. L’obiettivo del 2% fissato sui prezzi, insomma, sembra avvicinarsi seppur lentamente.

Infine, chiamato in causa sulle grandi manovre già partite per la sua successione, in vista della scadenza di ottobre 2019, Draghi non si sbilancia e se la cava con una battuta: «Tocca ad altri giudici, non sta a me. Ma mi rimane ancora tempo, non c’è fretta».

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