mercoledì 19 settembre 2018
Gli effetti dell'automazione si sentono a livello locale. Ci sono regioni che stanno sostituendo posti robotizzabili con impieghi sicuri e altre che stanno perdendo anche i posti sicuri.
Dove cresce il lavoro che resiste ai robot
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L’Italia continua a recuperare posti di lavoro. Il tasso di occupazione tra aprile e giugno è tornato a sfiorare, dopo dieci anni, i livelli di prima della crisi: la quota di persone in età da lavoro attive è al 58,7%, appena sotto il 58,8% del secondo trimestre del 2008, che è stato il dato migliore di sempre. Gli occupati oggi sono 23,3 milioni, 387mila in più rispetto a un anno fa.

Tutti numeri positivi, quelli diffusi ieri nella nota trimestrale realizzata assieme da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal. Però in un mondo del lavoro che è diventato molto complesso le cifre assolute non raccontano tutta la storia: l’aumento della quantità di lavoro e di occupati non ci dice nulla sulla qualità del lavoro che l’Italia sta creando. Non sono dettagli: un’interessante inchiesta del New York Times la settimana scorsa mostrava come negli Stati Uniti del record dell’occupazione (il tasso di disoccupazione è al 3,9%) continuassero ad aumentare i “working poor”, cioè le persone che lavorano ma non guadagnano abbastanza per emanciparsi dalla povertà.

Viviamo i tempi dell’avanzata dei robot nelle fabbriche: secondo il rapporto Future of Jobs pubblicato lunedì dal World Economic Forum metà delle attività lavorative oggi affidate agli esseri umani nel 2025 saranno svolte dalle macchine. Se questo è il contesto, per parlare della qualità di un posto di lavoro non basta guardare allo stipendio e alle condizioni contrattuali. Occorre considerare anche quanto quel posto di lavoro rischia di essere automatizzato.

È quello che ha fatto l’Ocse nella terza edizione, pubblicata ieri, dell’indagine sulla “Creazione di lavoro e sviluppo delle economie locali”. È un’indagine che guarda alla realtà delle singole Regioni, perché diversi studi hanno dimostrato che l’automazione colpisce il mondo del lavoro in maniera diversa a seconda delle caratteristiche dei sistemi produttivi che incontra in un territorio.

Dai numeri dell’Ocse si vede un’Italia in cui, salvo qualche eccezione, le disparità economiche tra le Regioni sono destinate ad aumentare. Quello che sta accadendo, infatti, è che i territori già più ricchi vivono una transizione positiva verso il futuro del mondo del lavoro, mentre in quelli già poveri si sta verificando lo scenario peggiore. Il 70% dei nuovi posti di lavoro creati in Italia tra il 2011 al 2016 vengono dalle sole Lombardia e Lazio. E quelli sono posti di qualità, spiega l’Ocse: ad aumentare sono infatti i lavori classificati come “meno rischiosi” di fronte all’avanzata delle macchine. La stessa dinamica si riscontra in Emilia Romagna, nella Provincia di Trento e, un po’ a sorpresa, anche in Molise e Basilicata.

Lo scenario peggiore è invece quello che si sta verificando in due delle Regioni più povere d’Italia, la Calabria e la Puglia, ma anche in Abruzzo, Umbria, Liguria e Friuli- Venezia Giulia. Tutte regioni che stanno perdendo posti di lavoro in settori considerati meno a rischio di sostituzione robotica. Queste aree d’Italia stanno cioè vedendo sfumare i posti più sicuri, mantenendo invece quelli che presto potranno essere aggrediti dai robot. Una situazione che lascia spazio a nuove crisi occupazionali.

Nelle altre Regioni d’Italia si assiste invece alle dinamiche più complesse e interessanti, perché dimostrano come i numeri del lavoro, in sé, a volte non solo non bastano, ma possono anche ingannare. In Campania, in Toscana e nella Provincia di Bolzano l’occupazione sta salendo, ma sale soprattutto in settori ad alto rischio di sostituzione robotica. Si assumono per esempio impiegati e contabili, mestieri a forte rischio di sostituzione da parte dei robot.

Un simile aumento dell’occupazione non può che essere di breve respiro. Al contrario in Regioni dalla grande storia industriale come il Veneto e il Piemonte, ma anche nelle Marche, in Sardegna, Valle d’Aosta e Sicilia, sembra essere in corso una trasformazione positiva, anche se costosa, del sistema produttivo: l’occupazione diminuisce ma quelli che si perdono sono posti “rischiosi”, con le macchine che riducono la necessità di manodopera umana. In Veneto, per esempio, diminuiscono autisti e carrellisti, operatori di macchina, occupati delle costruzioni e operai agricoli, ma si assumono scienziati e ingegneri.

Buona parte del futuro del lavoro in Italia dipenderà da come vengono gestite queste fasi di transizione. I consigli dell’Ocse sono quelli sentiti già molte volte: servono piani di formazione continua per aggiornare i lavoratori in base alle esigenze dei territori e occorre lavorare perché più persone possano entrare nel mondo del lavoro. Considerata la rapidità della diffusione dell’automazione (le vendite di robot industriali nel mondo sono salite dalle 50mila del 2009 alle 350mila dello scorso anno) il tempo a disposizione è poco.

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