lunedì 9 maggio 2011
Per l'amministratore delegato di Great place to work Institute Italia occorre fornire gli «strumenti che possano aiutare i collaboratori quando questi abbiano bisogno di un supporto alla vita famigliare e/o personale o abbiano incombenze personali cui dare attenzione».
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«Prima di parlare di conciliazione famiglia lavoro credo sia indispensabile porre nella giusta prospettiva i concetti legati a quella che, dovendo essere conciliata, appare come una contrapposizione. Se dobbiamo conciliare, significa che ci troviamo di fronte a due aspetti antitetici: dove c’è lavoro non c’è famiglia e quando sei in famiglia non c’è posto per il lavoro. Credo che questa separazione netta fra i due mondi derivi dalla concezione industriale del lavoro, una concezione che vede la vita dell’uomo come una catena di montaggio, con momenti di pausa (la famiglia) e momenti di impegno (il lavoro). Nulla di più sbagliato, a mio avviso». Lo afferma Gilberto Dondé, amministratore delegato di Great place to work Institute Italia, una società di ricerca e consulenza manageriale che ha base negli Stati Uniti e uffici internazionali affiliati in tutto il mondo. La società ha il compito di affiancare gli affiliati europei nel loro lavoro di supporto alle organizzazioni di tutti i settori per conseguire, all'interno del loro ambiente di lavoro, miglioramenti duraturi nelle relazioni che producano benefici apprezzabili nel loro business e migliori prestazioni sociali. Come incentivare la conciliazione famiglia-lavoro?A parte il fatto che non è sempre vero che i momenti della famiglia siano piacevoli e spensierati, e nemmeno che i momenti passati al lavoro siano necessariamente stressanti e alienanti, dobbiamo pensare che la persona/lavoratore è una unica entità e il tempo del lavoro e quello dedicato a se stessi ed al proprio gruppo famigliare/amicale sono aspetti differenti della stessa realtà: siamo sempre noi.Quindi il lavoro non è un qualcosa fuori di noi, ma un momento che fa parte integrante del nostro essere: perché quando siamo al lavoro ci portiamo le positività, ma anche le negatività, della nostra vita personale e così, quando siamo a casa, ci portiamo dietro tutto il vissuto della nostra vita in azienda. Troppo spesso si sottolinea solamente in negativo questo ultimo aspetto.Torniamo alla domanda: come incentivare, allora questo equilibrio? Bene, direi che se è vero quanto sopra, non si tratterà meramente di un discorso di dare maggior tempo alla famiglia (equilibrio quantitativo), ma anche e soprattutto di dare una presenza più calda ed efficace (equilibrio qualitativo) nei momenti in cui viviamo in famiglia e c’è bisogno di noi. Ma si tratterà anche di fornire tutta una serie di strumenti che possano aiutare i collaboratori quando questi abbiano bisogno di un supporto alla vita famigliare e/o personale – come, ad esempio, per dedicarlo ai figli o ai genitori (e qui non faccio distinzione di sesso) o abbiano incombenze personali cui dare attenzione.Certo, accanto a queste attenzioni, non guasta una cura a organizzare, più che contenere, i tempi di lavoro, non mettendo le persone nelle condizioni di dover necessariamente sforare gli orari (ad esempio, stabilendo degli orari oltre i quali non si organizzano riunioni).E soprattutto come diffondere gli strumenti di conciliazione anche nelle pmi e nelle microimprese?Come già detto, il problema è, anche, di tipo organizzativo. Anche se in queste strutture, spesso, su una singola persona ricadono diversi ruoli, sovente non sappiamo bene come organizzare le nostre attività per ottimizzare il tempo. Ma, al tempo stesso, disperdiamo il nostro patrimonio di minuti, di ore, … in modo non pertinente e così ci ritroviamo a dover rincorrere le scadenze. È vero che ci troviamo anche delle scuse: “Non sono io a gestire il mio tempo, bensì il mio capo, il cliente, gli uffici pubblici, … e ciò è vero: talvolta non siamo padroni del nostro tempo. Ma è anche vero che spesso il capo, il cliente si credono, loro, padroni del nostro tempo. Tutti siamo in alcune situazioni consumatori del tempo altrui e, in altre,vittime dell’abuso che del nostro tempo fanno gli altri. Dobbiamo farci rispettare, ma anche rispettare il tempo degli altri. Non c’è una ricetta, ma solo una volontà e un impegno a farlo.  Quali sono i principali ostacoli all'applicazione delle buone pratiche?Il fatto di non crederci. Spesso mi sento dire le “frasi che uccidono”: “qui da noi non può funzionare”, “gli dai un dito e ti portano via il braccio”, “dipendesse da me, non ci sarebbero problemi, ma purtroppo sono altri a decidere”, … È chiaro che non è facile organizzarsi quando si è in pochi, pochissimi; ma talvolta mi sembra che non ci proviamo neppure!Può fare degli esempi di aziende prima ostili e poi favorevoli alla conciliazione?Mi è difficile parlare di aziende che hanno cambiato la loro idea nei confronti di questo tema: non si passa da un’idea negativa a una positiva se non ci si crede. Ho visto diverse aziende che hanno voluto provarci e hanno ottenuto risultati lusinghieri, che le hanno convinte ad insistere e continuare su questa strada. Il cammino è lungo e difficile: si tratta, spesso, di cambiare non solo alcune regole del gioco, ma di cambiare la nostra mentalità, che si è formata nell’era industriale e che vede il lavoro solo in un’ottica di “catena di montaggio”, anche quando siamo nel mondo dei servizi, per cui sembra impossibile strutturare diversamente il lavoro. Ad esempio, Elica, la prima nella classifica 2011 delle migliori aziende per cui lavorare in Italia, ha introdotto concetti di flessibilità dell’orario in produzione, gestita dai gruppi di lavoro! In altri casi, si è proceduto a regolamentare le riunioni, in modo che non potessero protrarsi oltre il normale orario.  In altri, il problema è stato affrontato capovolgendolo: invece di definire i contorni del tempo di lavoro e del luogo di lavoro, si è passati almeno per certi periodi dell’età lavorativa, a far portare i figli in azienda – asili aziendali – o a far lavorare le persone in maniera flessibile – quando ne hanno il tempo – da casa (telelavoro). E ciò che ancora oggi mi colpisce è che non sono solo le attività che un tempo si poteva pensare più adatte ad essere “telelavorate”, ma anche attività che si riteneva richiedessero una presenza continua in azienda, come, ad esempio, le attività manageriali.

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