mercoledì 14 settembre 2011
Lo afferma Giuseppe Cristoferi, managing partner della società di executive search.
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L’occupazione giovanile, tra i 15-34anni, è per il 77% di contratti a tempo indeterminato, mentre il 23% è a tempo determinato. Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione giovanile tra i 15-24 anni a livello europeo, tra il 2008-2009, registra un forte aumento dal 21,2% al 25,3%, mentre in Italia negli ultimi 10 anni ha mostrato una graduale diminuzione. L’aumento è comune a tutti i principali Paesi, in particolare all’Irlanda (dove raddoppia) e alla Spagna dove raggiunge quota 37,8% (Luglio 2010). Questi i dati del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, elaborati da Elan International, società di executive search. Da questi dati inoltre emerge che il tasso di disoccupazione generale in Italia è sempre 8,6%, mentre il tasso medio europeo è il 9,6%. La disoccupazione, invece, è salita al 29% nel dicembre 2010, la più alta percentuale dal 2004 e registra dal dicembre 2009 un aumento del 2,4%. Questi dati sono stati dichiarati soddisfacenti dal Ministero, mentre sindacati e opposizione parlano di situazione drammatica per giovani e donne inattive. I dati riportati sul tasso di occupazione sono ben più istruttivi di quelli sui tassi di disoccupazione, poiché questi ultimi sono condizionati dalla quota degli inattivi. Il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni, nel terzo trimestre 2010, è sceso al 20,5% dal 25,8% di 3 anni prima. In Europa, invece, nel terzo trimestre 2010, la situazione è molto diversa: in Germania il tasso di occupazione si è avvicinato al 47%, in Francia al 32%, in Spagna al 26,2%. «La partita di un business equo e sostenibile – spiega Giuseppe Cristoferi, managing partner di Elan International – si gioca sull’occupazione e sulla occupabilità, più che sul Pil e altri parametri. Il decremento del Pil produce minore occupazione, soprattutto fra i più deboli (di cui i giovani) che provocano a loro volta una diminuzione di produttività, che influenza pesantemente il decremento del Pil. Una disoccupazione giovanile, quindi, incide negativamente su uno sviluppo equo e sostenibile, ed un buon sviluppo equo e sostenibile incide sull’occupazione.  L’incremento della popolazione in possesso di laurea rischia di produrre un eccesso di offerta, accresciuto peraltro negli ultimi due anni dalla contrazione delle opportunità occupazionali dovuta alla recente crisi economica». «Se la domanda globale di lavoro ristagna e se il fabbisogno non cresce è senza dubbio funzione dell’economia nel suo complesso. Per quello che riguarda le previsioni quantitative, i cicli economici sono una costante dell’economia occidentale, oggi globale. Essi si inseriscono in un trend di lungo periodo, determinato sull’arco di 5/7 anni, ma in questa sede è difficile considerarli e fare una previsione. Oggi in Italia ci sono interventi statali, europei, per l’agricoltura, considerata strategica, ci sono interventi economici per le energie rinnovabili, interventi di normativa per le quote rosa. Poi ci sono interventi per la ricerca, per quanto difficile sia articolarli. Non dovrebbe essere impossibile immaginare gli interventi per diminuire il costo del lavoro dei giovani, per quelle aziende che offrono buona occupazione, rendendo relativamente più oneroso il precariato e promuovendo quella occupazione che esalta e migliora le capacità e che offre all’occupato una prospettiva di lungo periodo, inquadrata di solito in un contratto regolare a tempo indeterminato. Attuando questa strategia, i consumi crescerebbero poiché i redditi sarebbero percepiti come durevoli, e non come transitori. I risparmi crescono nella fase giovanile della vita quando le persone accumulano risorse per l’età avanzata. Oggi invece i padri continuano a risparmiare per sostenere i redditi precari dei figli e i figli entrano in un mercato del lavoro non certo a loro favorevole», aggiunge Cristoferi. Dai dati del ministro del Lavoro, elaborati da Elan International, si evidenzia inoltre che in Italia ci sono 9.652.000 giovani tra i 15 e i 29 anni (di cui 4.917.000 uomini e 4.735.000 donne), in gran parte nello stato di celibato o nubilato. Rispetto ai principali paesi della UE l’incidenza dei giovani tra i 15 e i 24 anni sul totale della popolazione è la più bassa (10%; seguita dalla Spagna con l’11%); infatti, l’Italia ha anche il tasso di fertilità più basso e si prevede un decremento ulteriore della quota giovanile, mentre l’incidenza degli over 80 è del 5,5%, seguita dalla Francia con 5,9%. I giovani oggi vivono per lo più nella famiglia di origine: il 69% degli uomini tra i 25 e i 29 anni e il 49% delle donne. La popolazione attiva nazionale, come occupanti e persone in cerca di lavoro, tra i 15 e i 29 anni, sono pari a 7.699, circa il 30% del totale, ovvero 24.970.000. Tra questi, gli occupati veri sono 22.650.000, di cui il 30%, 6.795.000, sono giovani tra i 15 e i 34 anni e il 65% lavora nei servizi (34% al nord nell’industria). Il lavoro dipendente è pari all’86,9% del totale fra i giovani tra i 15 e i 34 anni, mentre l’occupazione autonoma cresce nella classe 25-29 anni del 20%, specie al sud con il 25%. Nel 2010 ci sono state circa 305.000 lauree, 190.000 di primo livello (di cui 102.000 proseguono gli studi), circa 35.000 a “ciclo unico”, 79.000 specialistiche. Escludendo i laureati che proseguono gli studi universitari e gli studenti lavoratori, il numero di neolaureati in entrata sul mercato del lavoro dovrebbe essere circa 158.000 (offerta netta). Offerta composta da laureati nell’area scientifica (prevalentemente medici) e in discipline economico sociali, seguite da indirizzo umanistico e da ingegneria/architettura; quote inferiori per indirizzo giuridico ed educazione fisica. La domanda di lavoro negli ultimi anni è stata sempre sostenuta, ma nel biennio 2008-2009 è risultata insufficiente, nel 2009 tra i laureati si è registrata una riduzione di 12.000 occupati, un aumento di quasi 40.000 disoccupati, e un’incidenza del tasso di disoccupazione dal 3,5% al 6,4%. Nel 2010 c’è stato un leggero miglioramento: il fabbisogno è stato di circa 160.000 tra occupati e autonomi. Un risultato ancora inferiore di 34.000 unità rispetto al divario fabbisogno/offerta del 2008. E’ in crescita il lavoro dipendente contro il calo delle opportunità per il lavoro autonomo. Durante il 2010 ci sono stati 158.000 laureati, oltre a questi vanno aggiunti tutti quelli disoccupati, che cercano lavoro, o gli scoraggiati, o quelli disponibili e intenzionati a cambiare lavoro. Arriviamo così a un totale di 694.000 e se il fabbisogno è di 160.000 è  evidente che solo un laureato su 5 potrà trovare lavoro mentre nel 2008 la copertura era di 1 su 3. A un anno dal conseguimento della laurea, il tasso di disoccupazione tra i laureati è pari al 62% per i laureati di I livello, al 45,5% per i laureati di II livello. Nei primi due mesi del 2010, rispetto allo stesso periodo del 2009, la diminuzione delle domande è stata del 31%: -37% nel gruppo economico-statistico, -9% ingegneria. In conclusione le opportunità di lavoro diminuiscono e le buste paga diventano più leggere. A questa analisi che registra un’inversione di tendenza a favore del lavoro dipendente, si affiancano studi di tenore diverso. Il 52% dei nuovi imprenditori del 2010 ha deciso di avviare un’attività autonoma per cogliere le opportunità di mercato e perché ha fiducia nelle proprie competenze e capacità. Solo il 34% si è messo in proprio dopo aver cercato invano un’assunzione, ma non si vede la motivazione del restante 14%. Il saldo totale di nuove imprese è di 72.530, per la maggior parte, fondate da “imprenditori coscienti”, questo significa che 36.000 occupati autonomi non sono motivati. L’imprenditore medio è oggi compreso nella fascia d’età 31-40 anni, è un uomo diplomato e solo il 17% di questi ha una laurea. Questo dato è comprensibile se consideriamo che l’inizio dell’attività imprenditoriale è agevolata dalla conoscenza di una prassi, che nei laureati avviene in età più tarda. E anche da una predisposizione al rischio che si distribuisce in modo statistico tra la popolazione di diverse scolarità, non privilegiando i laureati, e quindi la percentuale di nuovi imprenditori laureati non può essere molto diversa da quella dei laureati sulla popolazione attiva. Una curiosità tra le nuove imprese è data dal fatto che sono percentualmente più attivi gli immigrati, nonostante la crisi il trend è in aumento e compensa la diminuzione registrata nella componente “nostrana”. Si conferma la leadership di Milano e della Lombardia per densità di imprese in Europa, anche rispetto all’Ile de France e alla Catalogna, ma con un numero di addetti pro-capite veramente minimo (4,2 occupati per impresa contro 9,8 a livello europeo). “Le previsioni riguardo l’entrata all’imprenditorialità sono essenzialmente di due tipi: qualitative e quantitative. Le previsioni qualitative si basano soprattutto sulle competenze, conoscenze, capacità, richieste dal mercato. Da queste previsioni nasce una lamentela: i giovani non si formano nel carattere, stanno troppo in famiglia, troppo a lungo in università, conoscono poco le lingue e mirano allo status, hanno poca esperienza internazionale. Sembrano comunque più reattive le donne, anche grazie ai sostegni offerti alle dipendenti donne”, conclude Cristoferi. Nel biennio 2009-2010 il 76% delle assunzione, secondo il rapporto UIL sulle comunicazioni obbligatorie, è stato fatto attraverso contratti temporanei, ed esattamente: 66,3% a tempo determinato, 8,6% collaborazioni, 1,2% altre tipologie. Il restante è dato da contratti standard a tempo indeterminato per un 20,8% e dall’apprendistato per un 3,1%. Nello stesso periodo il 68,3% dei rapporti precari viene e a cessione, mentre il 31,7% sono i licenziamenti da lavori stabili.
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