mercoledì 4 ottobre 2017
Solo quattro marchi su undici in grado di rispettare i limiti voluti dalla Ue
Diesel in calo, l'industria trema
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Dai dubbi espressi in queste ore da Sergio Marchionne sulle auto elettriche – definite addirittura «una minaccia per l’esistenza del pianeta se l’energia che le muove non sarà prodotta da fonti pulite e rinnovabili» – al crollo progressivo delle immatricolazioni delle vetture a gasolio che incide sul raggiungimento dei tagli di CO2: c’è forte preoccupazione ai piani alti delle aziende dell’automotive. Un dato in particolare è allarmante: solo 4 degli 11 principali gruppi automobilistici sarebbero in grado di rispettare i limiti di emissione fissati dall’Unione Europea per il 2021. Secondo uno studio realizzato dalla società di consulenza PA Consulting e riportato da Automotive News, gran parte delle Case (che di recente infatti hanno chiesto di rimandare la scadenza addirittura al 2030) rischiano multe milionarie se non prenderanno provvedimenti immediati. Una delle cause che potrebbero portare al mancato raggiungimento dei target di emissione sarebbe proprio il “dieselgate”.

Lo scandalo delle emissioni infatti ha fatto perdere al mercato, nei primi sei mesi dell’anno, 152.323 immatricolazioni di vetture a gasolio, con un calo della quota di questo tipo di alimentazione nell’area Eu-15 passata al 46,3% del totale dal 50,2% dello stesso periodo del 2016. L’Acea (l’associazione europea dei costruttori) sottolinea che questa variazione nei gusti dei clienti continentali è stata compensata da una crescita delle vendite di modelli a benzina, tanto da averne fatto aumentare la quota dal 45,8% al 48,5%. Uno spostamento che ha fatto superare per la prima volta dal 2009 i modelli a benzina rispetto ai diesel, che continueranno a ridursi in ragione anche delle politiche di limitazione che molte città stanno studiando. Realtà questa che sta allarmando i costruttori, consapevoli che i motori diesel, producendo livelli di CO2 inferiori a quelli a benzina, sono quasi indispensabili per tenere bassa la media di questo tipo di emissioni. A questo si aggiunge che l’andamento delle vendite delle cosiddette alimentazioni alternative in Europa è solo in leggera crescita: le elettriche sono all’1,3% (98.933 unità complessive nel primo semestre), le ibride al 2,6% (198.579) e quelle con motori bifuel Gpl o metano all’1,3% (98.933). «I motori alternativi avranno in futuro indubbiamente un ruolo crescente nel mix del mercato spiega il segretario generale dell’Acea, Erik Jonnaert - e tutti i produttori europei stanno investendo pesantemente in questo ambito.

Ma occorre fare di più per incoraggiare i consumatori ad acquistare veicoli a motore alternativi, ad esempio istituendo i giusti incentivi e distribuendo infrastrutture di ricarica in tutta l’Unione Europea. Nel frattempo, in quanto le automobili diesel emettono notevolmente meno CO2 rispetto a quella a benzina equivalenti, è importante che queste agiscano come una tecnologia ponte per supportare la graduale transizione verso i veicoli con basse emissioni di carbonio». Per non essere frainteso, il segretario generale dell’Acea ribadisce che è fondamentale che «i responsabili politici siano consapevoli del fatto che un passaggio troppo rapido dalla tecnologia diesel alla benzina porterà ad un aumento delle emissioni di CO2, visto che la penetrazione di mercato dei motori alternativi rimane bassa». Pesantissime le conseguenze per l’industria automobilistica nel caso in cui i costruttori non riuscissero a rispettare i limiti previsti per il 2021. Stando a quanto stabilito dalla Ue infatti le Case dovranno versare, per ogni veicolo venduto, 95 euro di multa per ogni grammo di CO2 emessa al di sopra della soglia stabilita.

In base ai primi calcoli, il GruppoVolkswagen potrebbe dover affrontare sanzioni per 1,36 miliardi di euro, il Gruppo Fca per 950 milioni, che scenderebbero a 786,7 milioni per PSA-Opel e a 430 milioni per BMW. Le sanzioni ammonterebbero invece a 307 milioni di euro per Ford, 283 milioni per Hyundai-Kia e 126 milioni per il Gruppo Daimler. Solo pochi costruttori sarebbero in grado di evitare le sanzioni: Volvo, Toyota e il gruppo Renault-Nissan, ai quali si aggiunge Jaguar-Land Rover, quest’ultimo solamente grazie ai suoi volumi di mercato ridotti.

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