mercoledì 21 agosto 2013
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Francesco Delzio, presidente dell’associazione «la Scossa», giovane manager e saggista «il bilancio dell’azione di governo per i giovani è positivo. Ma si può fare di più, anche con misure a costo zero o contenuto».Quali scelte dell’esecutivo Letta hanno favorito i giovani?Sul piano operativo, gli incentivi all’assunzione che finalmente abbattono una parte dei costi sopportati dalle imprese, seppure con stanziamenti limitati a 800 milioni di euro. Una misura che può dare risultati significativi in particolare al Sud. Poi le correzioni alla riforma Fornero, che aveva provocato il blocco dei contratti a termine. Ma il primo merito è quello di aver messo la "questione giovanile" al centro dell’attenzione e dell’azione di governo. Letta, già nel discorso con il quale ha chiesto la fiducia, ha parlato di "Generazione Erasmus", collegando così strettamente il destino dei ragazzi a quello dell’Europa. Impegnandosi poi nel fare pressione sulla Ue perché ponga la condizione dei giovani come priorità assoluta.E sono arrivati i fondi anche per attivare i programmi della "Garanzia giovani" dal 2014. Cosa non è stato fatto, allora?Anzitutto vanno riformati i centri per l’impiego – oggi inefficienti e inefficaci – e va aperta la collaborazione con le agenzie per il lavoro private, altrimenti si rischia di sprecare le risorse. Poi resta molto da fare per rendere davvero conveniente l’assunzione di un giovane, agendo con più coraggio sulla leva fiscale. Ancora, si potrebbe finanziare i ragazzi che vogliono fare impresa, utilizzando la Cassa depositi e prestiti come garanzia per creare una "banca dei giovani".Ma le imprese non hanno responsabilità? Non hanno "sfruttato" troppo i giovani esagerando con l’utilizzo di contratti flessibili?Non credo. La verità è che oggi il cuneo fiscale e contributivo scoraggia qualsiasi investimento nel "fattore lavoro", che ha un costo troppo alto, non solo in confronto con l’estero, ma anche rispetto agli altri fattori sui quali agisce un’impresa.Si lamenta la fuga dei cervelli e dei giovani, ma non è semplicemente una mobilità intelligente verso le aree e i Paesi che offrono maggiori opportunità?La mobilità è positiva. A patto che non sia a senso unico come è invece da noi oggi. Il pubblico impiego non offre più opportunità, con un’età media dei lavoratori di 50 anni, un record in Europa. L’Università purtroppo è prigioniera di logiche di cooptazione e fa poca ricerca applicata. Per forza poi i migliori scappano e non tornano, mentre i nostri atenei non attirano talenti stranieri. Per iniziare a invertire questa tendenza basterebbero poche misure a costo zero. Anzitutto obbligare le università a pubblicare i dati sugli sbocchi lavorativi dei propri laureati. Poi sostenere e sviluppare i Phd. Infine, stabilire il diritto/dovere di completare il corso di studi con uno stage in azienda. Un primo contatto fondamentale con il mercato del lavoro.
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