mercoledì 26 aprile 2017
A Settimo Torinese resterebbero solo ricerca, progettazione e una piccola quota di produzione, che è stata in gran parte trasferita in Bulgaria. Pesano anche le difficoltà negli Usa.
Piccioni davanti alla boutique di Armani nel centro di Beirut (via Flickr https://flic.kr/p/dWotfq)

Piccioni davanti alla boutique di Armani nel centro di Beirut (via Flickr https://flic.kr/p/dWotfq)

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È a Settimo Torinese, alle porte di Torino, che la globalizzazione ha morso ancora una volta. La Giorgio Armani Operations ha annunciato 110 esuberi (forse 120) su 184 addetti dello stabilimento torinese. È l’anticamera del licenziamento degli ultimi lavoratori di ciò che una volta era la Lingotto del tessile e della moda italiani. Due i motivi: la delocalizzazione di buona parte della produzione e il calo di vendite del mercato estero.

L’annuncio degli esuberi è stato dato, quasi a sorpresa, qualche giorno fa dall’azienda ai sindacati e in poche ore è arrivato fino alle orecchie del governo e del Parlamento. La storia è simile a molte altre: il mercato che cambia e i costi che salgono. Dopo quasi due anni di contratti di solidarietà, l’azienda ha spiegato che a Settimo rimarrebbero solamente la ricerca e progettazione (circa 25-30 persone che potrebbero essere ancora trasferite), e altri 40 circa addetti alla produzione. A rischio in gran parte operaie con grande esperienza ma non giovanissime e con forti difficoltà di ricollocamento.

Dallo stabilimento di Settimo uscivano fino a qualche anno fa i migliori capi Armani la cui produzione è stata poi trasferita quasi tutta in Bulgaria. Nel 2014 si sono poi fatti sentire gli effetti del calo di vendite sul mercato Usa; da allora la produzione è passata, stando ai sindacati, da 25mila capi all’anno a 15mila. Quello di Settimo Torinese è comunque ancora oggi uno dei centri produttivi Armani in Italia per la moda uomo insieme a quelli di Matelica e Trento.

Lavoratori e sindacati (che hanno fatto scattare manifestazioni e scioperi) sperano adesso nelle Istituzioni. La Regione ha fatto sapere che presto convocherà un "tavolo". Ma si sono mossi anche il governo e il Parlamento. Teresa Bellanova, vice-ministro del lavoro, ha promesso che l’esecutivo chiamerà al Ministero l’azienda e i sindacati. Intanto Silvia Fregolent, vicepresidente dei deputati Pd alla Camera, in un’interrogazione ha impegnato il governo ad agire, chiedendo che venga fatta chiarezza «sui processi di delocalizzazione » del gruppo e sul fatto che Armani vesta numerose squadre nazionali italiane (anche quelle di Rio 2016) facendo «confezionare i propri prodotti all’estero».

In attesa degli eventi, rimane una situazione che fa a pugni con un territorio a forte vocazione industriale. Nella stessa area, la Pirelli ha creato uno dei poli produttivi d’eccellenza del gruppo, in parte progettato da Renzo Piano, dove si fa ricerca e produzione d’alta gamma. Settimo ha poi concorso recentemente per diventare Capitale Italiana della Cultura 2018 basando la sua candidatura su un particolare insieme di attività produttive, cultura e territorio. Proprio lo stabilimento Armani è invece sorto sulle ceneri del Gruppo Finanziario Tessile uno dei nomi più importanti del settore; ed è proprio lui adesso a rischio chiusura accanto ad un outlet appena aperto dove fanno bella mostra tutti i migliori marchi dell’alta moda, Armani compreso. Suona umoristicamente amaro quanto scritto su uno striscione dei lavoratori: «Caduta di stile».

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