sabato 24 marzo 2018
A quasi cinque anni dalla prima comparsa dell’espressione "Industria 4.0", in Italia c’è ancora discontinuità sulla collaborazione tra Information Tecnology (It) e Operation Technology (Ot)
Cuoa e Ibm fotografano l'economia digitale
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A quasi cinque anni dalla prima comparsa dell’espressione "Industria 4.0", nel Paese c’è ancora discontinuità sulla collaborazione tra Information Tecnology (It) e Operation Technology (Ot), l’evoluzione tecnologica dal paradigma 3.0 al 4.0, lo sviluppo delle competenze e il ruolo dei fornitori di tecnologia e consulenza, temi alla base del Research Report Industria 4.0: vision, execution e progettualità nel manifatturiero italiano, che Ibm ha realizzato in collaborazione con Digital360. Dalla ricerca emergono quattro profili fondamentali d’imprese: Belle Addormentate, Teorici, Praticoni e quelle In cammino. L'indagine è stata presentata al Cuoa Business School di Altavilla Vicentina ed è stata l'occasione per conoscere i profili e confrontarsi sulla definizione della strategia, nell’ottica di ridefinizione dei processi, dell’organizzazione e delle competenze e del percorso evolutivo da intraprendere.

Per Maurizio Venturi, executive It Architect – Iot & Industry 4.0 di Ibm Italia, «non si può prescindere dal digitale». «Di una scuola 4.0 e di un’istruzione 4.0 abbiamo un grande bisogno - spiega il manager -. È una responsabilità per tutto il mondo del fare. Le competenze sono la ‘nuova currency’, tenendo a mente che l’innovazione tecnologica crea lavoro. Non lo distrugge, come si tende a pensare. Ricordiamo solo i dati di Assinform: il fabbisogno italiano per il triennio 2016-2018 è di 85mila nuovi specialisti, 65mila dei quali per soggetti di primo impiego, più della metà laureati. Già oggi si manifestano forti criticità per i profili di Data Scientist, Business Analyst, Project Manager, Security Analyst e altri: cioè le competenze per la trasformazione digitale. Noi ci adoperiamo per ridurre questo gap e per adeguare le skill».

In Italia Ibm è attiva nell’alternanza scuola-lavoro con centinaia di ore passate negli istituti scolastici - sia tecnici che licei - per dare un contributo significativo per la formazione. Nel 2017 sono state svolte 1.500 ore in 40 scuole con 2.200 studenti coinvolti. Tra i temi discussi: cognitive, cloud, coding.

«Promuoviamo iniziative come il Progetto Nerd - continua Venturi - che punta a orientare le studentesse dei licei nella scelta delle facoltà Stem, attraverso laboratori pratici di programmazione. Nel 2017 abbiamo creato più di 150 spazi di agile working e design thinking che danno spinta alla collaborazione. Usiamo strumenti di Apple così come Box e Slack e sosteniamo una innovazione aperta e collaborativa. Stiamo lanciando l’iniziativa Skillbuild il cui fine, a livello mondiale, è sostenere l’alfabetizzazione digitale e ispirare la prossima generazione di sviluppatori e programmatori sollecitando i giovani a studiare le materie scientifiche e tecnologiche. L’obiettivo è raggiungerne un milione solo quest’anno in tutto il mondo. Non basta: sappiamo che occorre una marcia in più anche in azienda per contribuire al cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno».

A dimostrarlo c’è il fatto che Ibm è anche attiva nei programmi di formazione continua che svolge a supporto di start up e imprese in collaborazione con gli altri attori dell'ecosistema digitale (associazioni di categoria come Confindustria Digitale, incubatori e co-working partner come Digital Magics e Tag, e la rete di tutti i business partner presenti sul territorio nazionale). Insomma c'è ancora molto da fare per diffondere la cultura digitale nella società italiana.

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