mercoledì 18 marzo 2015
Parla l’imprenditore umbro principe del cachemire:  «Ai miei 1.300 dipendenti do il 20% in più: il lavoro è un gioco di squadra». «Il profitto ha valore se dà benessere interiore»
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​Il presupposto con cui è partito (da zero), quasi quarant’anni fa, è il suo faro anche oggi che è alla guida di un’azienda leader a livello internazionale nel settore del lusso: «Dare dignità morale ed economica al lavoro». Per Brunello Cucinelli, imprenditore classe 1953, questo era – e resta – l’obiettivo numero uno. Quello da perseguire quotidianamente. «La mia filosofia non è mai cambiata», racconta con voce gentile il "re del cachemire" dal suo quartier generale di Solomeo, un piccolo borgo medievale a pochi chilometri da Perugia. La storia professionale di Cucinelli, infatti, è la testimonianza che si può essere un capitano d’impresa di successo anche – anzi, meglio dire soprattutto – se non si rincorre l’utile a ogni costo. Non a caso, lui si muove seguendo i princìpi di «un capitalismo etico» e continua a lavorare per costruire «un’impresa che sia sempre più umanistica». «Fin dall’inizio ho pensato che il profitto, da solo, non sarebbe stato sufficiente – spiega –. Sono convinto che il bene economico sia nullo se contemporaneamente non si ricerca pure il benessere dell’uomo». E non è un’utopia. Non sono soltanto parole. Perché sono i fatti concreti a dirci che Cucinelli guida un’impresa sana, con 1.300 dipendenti pagati almeno il 20% in più rispetto alle realtà concorrenti e con un fatturato che migliora anno dopo anno. Il 2014 si è chiuso con ricavi a 355,8 milioni (+10,3% in 12 mesi) e con un potenziamento della presenza in tutti i mercati internazionali (+ 12,7% in Nord America, +8,2% in Europa e +32,7% in Cina). Ma c’è una ripresa anche del mercato interno: +2,8% in Italia. «Questi risultati rafforzano in noi la convinzione che un modello in cui sono coniugate l’attenzione alla qualità del prodotto e il rispetto delle persone e del territorio sia la chiave per costruire un percorso solido nel lungo periodo», commenta il presidente e Ad della famosa maison italiana.Per la sua formazione Cucinelli ha scelto dei riferimenti culturali di altissimo livello, ma anche molto diversi tra loro. Da san Benedetto a san Francesco, da Eraclito a Epicuro, sono tanti i grandi del passato che l’hanno particolarmente ispirato. «Santi, filosofi, ma senza dimenticare la figura di mio padre, operaio, il cui sogno era quello di diventare un giorno "operaio specializzato". Spesso si lamentava più della scarsa dignità morale data al suo lavoro che della paga modesta», ricorda.  Anche da questa esperienza familiare nasce l’idea di dar vita a qualcosa di più di una semplice impresa: «Un gruppo unito dove ognuno ha un ruolo da svolgere per il bene di tutti», per usare le parole del "patron". E quando le cose vanno bene, deve beneficiarne l’intera "squadra". Come avvenuto a fine 2012, pochi mesi dopo lo sbarco in Borsa, quando il numero uno del colosso del lusso decise di donare personalmente oltre 6mila euro a ciascun collaboratore dell’azienda per un totale di 5 milioni di euro. «Fu semplicemente un riconoscimento che, d’accordo con mia moglie e le mie due figlie, decidemmo di dare ai lavoratori per il loro impegno», precisa il "signor Brunello", come amano chiamarlo tutti a Solomeo.Già, la Borsa. Perché non è detto che il mondo dei mercati finanziari debba essere abitato solo da una certa tipologia di aziende. Certo, per non "snaturarsi" occorre avere chiaro l’obiettivo per cui si sceglie di quotarsi. «Io l’ho fatto per attrarre con più facilità manager di qualità, per avere la possibilità di riqualificare ancor di più il luogo che ci circonda, per avere un confronto con soci investitori che la pensano diversamente dal sottoscritto. E perché credo, inoltre, che la Borsa possa "allungare" la vita a un’azienda». Gli investimenti nell’ambiente dove si trova l’impresa sono stati ingenti in questi anni. Oltre a contribuire alla restaurazione del borgo umbro (con la costruzione del teatro, dell’anfiteatro, della biblioteca e del giardino dei filosofi), Cucinelli ha aperto la "scuola dei mestieri": un laboratorio dove molti giovani possono imparare l’arte del rammendo e del rimaglio, del taglio e della confezione, ma anche dell’orticoltura, del giardinaggio e della muratura. «I corsi durano mezza giornata e garantiamo ai partecipanti una borsa di studio di circa 700 euro al mese. Siamo partiti lentamente, ma lo scorso anno abbiamo ricevuto domande che superavano di venti volte i posti a disposizione. È il segnale che, per fortuna, si sta tornando a valorizzare il lavoro manuale». La riscoperta degli "antichi mestieri", può essere anche un antidoto per diminuire la percentuale drammatica di disoccupati che si registra in Italia: «Bisogna tornare a valorizzare lavori come quello del sarto, del giardiniere, del calzolaio, del falegname…».Per Cucinelli, la Grande Crisi iniziata nel 2008 è esplosa «al termine di venticinque anni di declino di civiltà, dove c’era un tasso di consumismo eccessivo». Da un po’ di tempo a questa parte, invece, si è avviato un ciclo meraviglioso: «Stiamo ricominciando a investire nei grandi ideali: nella famiglia, nella spiritualità e nella buona politica». E a innescare questa svolta, secondo Cucinelli, è stato soprattutto papa Francesco: «L’elezione di Bergoglio è stata un dono immenso per l’umanità. Questo Pontefice è un autentico genio dei rapporti umani. Ci invita continuamente a non voltare le spalle di fronte alla povertà, a essere custodi del Creato e a impegnarci per diventare persone migliori senza criticare gli altri». Tornando alla situazione economica attuale, per l’imprenditore umbro, anche il calo dei consumi interni non va considerato un segnale negativo: «Significa che diamo il giusto valore alle cose e cominciamo a comprare ciò che ci serve davvero, eliminando il superfluo». Cucinelli, insomma, è fiducioso. Non si permette di giudicare l’operato del governo, né suggerisce alcun tipo di intervento normativo. La sua unica richiesta da avanzare alla politica riguarda, neanche a dirlo, la dignità del lavoro:  «Vorrei che lo stipendio minimo di chi lavora in fabbrica o in un’azienda fosse portato almeno a 1.500 euro. Ognuno ha diritto a ricevere un equo compenso e a non essere sfruttato. Perché, come ha giustamente ricordato Roberto Benigni nella trasmissione I Dieci Comandamenti, far lavorare un uomo troppe ore al giorno, a ritmi forsennati e senza pagarlo adeguatamente, significa rubargli l’anima».
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