martedì 18 luglio 2017
Si prevedono 10mila occupati in più. Ma occorre favorire gli investimenti a livello nazionale, regionale e locale per migliorare i servizi
Così la pesca si lega al turismo e crea lavoro
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Dal turismo legato alla pesca possono arrivare nuovi posti di lavoro, si può favorire l'inclusione sociale e il rilancio delle comunità che dipendono da questa attività. Ne è convinta l’europarlamentare Renata Briano. Con 599 voti favorevoli il Parlamento europeo ha anche approvato il rapporto dell’eurodeputata sulla valorizzazione del pescaturismo e dell'ittiturismo. «Le zone costiere europee attraggono milioni di visitatori ogni anno, con un crescente interesse per il turismo sostenibile - spiega la vice presidente della Commissione pesca a Strasburgo -. Pertanto diversificando l'attività non solo si aiuterà il settore della pesca a rialzarsi, ma si aiuteranno pescatori e turisti a incontrarsi e a conoscersi attraverso un mestiere antico, complesso e affascinante. Occorre favorire gli investimenti a livello nazionale, regionale e locale per migliorare i servizi, partendo da un miglior sfruttamento delle risorse messe a disposizione dal Feamp, il fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca».

In Italia si è registrato un costante aumento delle richieste di autorizzazioni per lo svolgimento di attività turistiche legate alla pesca. Secondo un'indagine, le regioni italiane con il maggior numero di autorizzazioni sono la Liguria (290), l'Emilia-Romagna (229), la Sardegna (218), la Calabria (203), la Campania (200) e la Sicilia (136). Esistono anche degli esempi virtuosi sulle nostre coste, come La sagra del tonno di Cetara (Salerno), che diffondono la conoscenza della pesca artigianale, la vita dei pescatori, la cultura musicale ed enogastronomica del territorio. In Spagna sono state perfino create agenzie specializzate per promuovere la sinergia tra pesca e turismo.

Gli operatori del settore guardano con interesse gli sviluppi di questa situazione. Angelo Ciotoli, ex ristoratore di Sestri Levante (Genova), ha sempre avuto una passione per il mare e la pesca. «Dal 1999 mi dedico all’ittiturimo – racconta l’imprenditore –. La nostra è un’impresa pilota. Con me lavorano anche mia moglie e i nostri tre figli, oltre a cinque stagionali. Siamo molto attenti al rispetto dell’ambiente e alla didattica. Abbiamo insegnato a 130 alunni di quarta e quinta a salare le acciughe. Abbiamo anche recuperato dei vigneti e produciamo l’Eroico, che offriamo ai nostri ospiti. Più che di fondi c’è bisogno di una burocrazia più snella che sostenga gli imprenditori vecchi e nuovi».

Negli ultimi decenni molte delle comunità tradizionali di pescatori in tutta l’Unione Europea sono oggetto di crescenti pressioni provenienti da diversi fattori negativi, quali la pesca eccessiva e il depauperamento degli stock ittici, il cambiamento climatico, l’inquinamento, il decremento demografico, la minore attrattiva della professione di pescatore eccetera.

Inoltre, se in certe zone la pesca rimane un’attività professionale attraente, in molte altre sta diventando sempre più difficile per i pescatori avere un tenore di vita decoroso. Il calo dell’occupazione nel settore della pesca e il calo della redditività del settore sono spesso percepiti come la norma. Ciò riduce ulteriormente la sostenibilità degli stili di vita tradizionali in molte delle comunità costiere europee.
Di conseguenza, un numero sempre maggiore di comunità tradizionali di pescatori in Europa non potrebbe più dipendere unicamente dall’attività di pesca tradizionale. Per la ripresa e il mantenimento della redditività di tali comunità, occorre trovare quanto prima delle nuove soluzioni. La diversificazione dell’attività tradizionale in altri settori, tra cui il turismo legato alla pesca, diventa inevitabile e offre potenzialità per contribuire alla creazione di posti di lavoro, all’inclusione sociale e al rilancio delle comunità che dipendono dalla pesca.

Le zone costiere marittime europee, in particolare nel Mediterraneo, ma anche nelle regioni dell'Atlantico, del Mar Baltico e del Mar Nero, già costituiscono le mete turistiche più frequentate che attraggono ogni anno milioni di visitatori. Purtroppo, la maggior parte di questi turisti vengono portati nelle zone costiere dai grandi tour operator e relativamente pochi di essi raggiungono i villaggi dei pescatori tradizionali. Lo stesso vale per le varie attività e le altre attrazioni che possono essere offerte ai visitatori della maggior parte delle comunità di pescatori tradizionali. D’altro canto, negli ultimi anni si è registrato un crescente interesse per il turismo sostenibile e le potenzialità per attrarre i turisti attenti all'aspetto ecologico dovrebbero essere sfruttate. È necessario aiutare le comunità di pesca e i turisti a incontrarsi e assicurare che nasca un sufficiente interesse da parte di entrambi per creare un duraturo partenariato positivo. Tuttavia, per poter sfruttare tali potenzialità vanno affrontati diversi problemi. Occorrono investimenti a livello nazionale, regionale e locale per mettere a punto le necessarie infrastrutture, da una migliore connettività internet alla costruzione di nuove strade che garantiscono l’accesso ai villaggi di pescatori più remoti, alla ristrutturazione degli impianti marittimi e di pesca, assicurando al tempo stesso che ciò sia fatto in un modo sostenibile e rispettoso dell’ambiente.

«Tutte le strategie di sviluppo dei "Flag gruppi di azione locale" italiani – conclude Barbara Esposto del Gac "Il mare delle Alpi" di Imperia - prevedono azioni per il sostegno e lo sviluppo delle attività di pescaturismo e ittiturismo. Servono però leggi uniformi a tutti i Paesi membri dell’Unione Europea. Il Piano Operativo del Feamp prevede una apposita misura di finanziamento, con contributi a fondo perduto. Per ogni nuova attività l'incremento di unità lavorative previsto è di almeno due persone. Pertanto in Italia, per un settore piccolo come quello della pesca, ci potrebbero essere 10mila inserimenti».


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