sabato 4 marzo 2017
A San Floro tre giovani dopo la laurea hanno preso la gestione di un gelseto per produrre tessuti pregiati. Per riprendere un'antica tradizione italiana
Il gelseto di Nido di Seta

Il gelseto di Nido di Seta

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Producono, danno lavoro, esportano e sono pure meta ambita da turisti e studenti. Una gran bella storia d’impresa di successo scritta a San Floro, nel Catanzarese, da tre professionisti che dopo università, specializzazioni ed esperienze in giro per il mondo hanno scelto di ripartire da questo piccolissimo borgo dell’entroterra calabrese che ha una lunga tradizione nella produzione della seta. Dal 1.400 i bachi sono di casa ma negli ultimi decenni la tradizione era venuta meno e con essa la produzione e il resto.

Una quindicina d’anni fa il Comune provò a rimettere in modo l’indotto impiantando un gelseto che dopo un po’ restò abbandonato. Sino al ritorno di Domenico Vivino che qui è nato e vissuto prima di laurearsi in scienze politiche e psicologia a Napoli, sempre custodendo la passione per la sua terra d’origine e quella tradizione che, era sicuro, poteva diventare impresa. Lo è diventata pure grazie all’impegno di Miria Pugliese che è specializzata in Lingue e ha vissuto sempre al Nord, e di Giovanna Bagnato che invece era appassionata di arte e ha frequentato l’accademia.


Due anni e mezzo fa, senza aspettare chiamate dirette e sperare in spintarelle più o meno legittime, hanno costituito la cooperativa "Nido di seta" che adesso gestisce un gelseto di 3mila piante kokosù le quali garantiscono tre cicli di allevamento (va da aprile a ottobre) l’anno con la produzione di cinque telaini. Considerato che ogni telaino conta 20mila bachi da seta, si capiscono i numeri importanti della coop agricola che sinora fa tutto con metodo tradizionale, a mano, impiegando stagionalmente da quattro a sei dipendenti per allevare il baco, estrarre la seta, sgommarla per renderla morbida e tingerla con colori naturali della zona.

La richiesta abbonda, dall’Italia come dall’estero, quindi è necessario aumentare la produzione e per farlo bisogna automatizzare. I produttori dei macchinari necessari sono solo cinesi, indiani e giapponesi. Perciò nelle settimane passate Miriam, Giovanna e Domenica sono volati in estremo Oriente per prendere contatto con le aziende che possono cambiare il volto della loro realtà serica. Hanno pure partecipato a vari corsi, perché non si smette mai d’imparare, conseguendo qualifiche mirate. «Vogliamo conservare la tradizione ma abbiamo la necessità di aumentare la produzione per rispondere alle richieste che per fortuna ci sono», spiega Miriam, la quale aggiunge che altre aziende del sud impegnate nel settore li contattano per condividere le esperienze e raccogliere suggerimenti. Così come sono numerose gli istituti scolastici che visitano l’azienda e dialogano con loro. «In Italia fino al 1980 c’era una produzione importante, poi calata per la delocalizzazione di molte imprese in Asia. Manca una produzione di massa», conclude la giovane socia con un sorriso che racconta molto altro.

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