mercoledì 19 aprile 2017
L’ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 82/2017. Quando il lavoratore possiede i requisiti assicurativi e contributivi, vanno esclusi dalla base di calcolo degli ultimi cinque anni
Pensione, niente da temere per i periodi di disoccupazione
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Chi ha maturato il requisito contributivo e sta aspettando l’età per mettersi in pensione non deve temere se ha dei periodi di disoccupazione. Perché questi periodi di disoccupazione degli ultimi cinque anni prima della pensione vanno esclusi dalla base di calcolo della pensione, se la loro inclusione ne riduce l’importo. L’ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 82/2017.

La dichiarazione d’illegittimità costituzionale ha preso le mosse da un contenzioso tra l’Inps e un lavoratore riguardo alle modalità di calcolo della retribuzione pensionabile, cioè la base di calcolo dell’importo della pensione. Il disappunto (da cui è sorto il contenzioso) è la situazione che si crea per il lavoratore che, trovatosi senza lavoro prima di andare in pensione e quando già ha maturato l’anzianità contributiva necessaria al pensionamento, fruisca di alcuni periodi di disoccupazione nell’attesa di maturare l’età utile a pensionarsi. Poiché la base pensionabile tiene conto dell’ultimo periodo di contribuzione, l’importo della pensione subisce un negativo condizionamento dalla presenza dei periodi di disoccupazione: essi riducono la retribuzione pensionabile di riferimento e, di conseguenza, riducono pure l’importo della pensione. Ciò che appare strano è in altre parole questo: per il fatto di percepire la disoccupazione il lavoratore ha diritto a una pensione più bassa rispetto all’ipotesi in cui decidesse di non percepirla (o anche rispetto a chi non fruisce della disoccupazione). Il Tribunale di Ravenna, in funzione di giudice del lavoro, intravedendo in questo una situazione in contrasto con il principio di ragionevolezza ha rimesso la questione alla corte di costituzionale. Il Tribunale, in particolare, dubita della legittimità dell’art. 3, comma 8, della legge n. 297/1982 «nella parte in cui non prevede il diritto alla neutralizzazione dei periodi di contribuzione per disoccupazione nei limiti del quinquennio e dei contributi obbligatori, dei contributi per disoccupazione e dei contributi per integrazione salariale anche oltre il limite del quinquennio sempre che, nell’uno e nell’altro caso, gli stessi periodi contributivi non siano necessari per l’integrazione del diritto a pensione».

La Corte costituzionale ha ritenuto la questione fondata riguardo ai periodi di contribuzione per disoccupazione che si collocano nelle ultime 260 settimane lavorative (gli ultimi cinque anni). In via di principio, si legge nella sentenza, quando il lavoratore possiede i requisiti assicurativi e contributivi per beneficiare della pensione, la contribuzione acquisita nella fase successiva (alla maturazione di tali requisiti) non può determinare una riduzione della prestazione virtualmente già maturata. Un principio, questo, che è stato già enunciato dalla stessa corte a proposito dei contributi volontari e di quelli figurativi per periodi di cassa integrazione salariale. Un principio, peraltro, che risulta già consolidato nella giurisprudenza di legittimità, la quale ribadisce che ogni forma di contribuzione, sopravvenuta rispetto al maturare dell’anzianità assicurativa e contributiva minima, deve essere esclusa dal computo della base pensionabile, se tale apporto produca un risultato meno favorevole per l’assicurato. Di fatto, dunque, la “neutralizzazione” può operare in qualunque situazione, eccetto per i periodi di contribuzione che concorrono a integrare il requisito necessario per l’accesso alla pensione.



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