lunedì 17 dicembre 2012
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Due novità in tema di congedi dal lavoro. La prima riguarda i permessi per assistenza a disabili, noti pure come ‘permessi della 104” con riferimento alla legge che li disciplina che è appunto la n. 104 del 1992 (articolo 33). Il dipartimento della funzione pubblica ha precisato che i permessi spettano anche quando il disabile non venga materialmente, dunque effettivamente, assistito (nota protocollo n. 44274/2012). La seconda novità riguarda il congedo di maternità (ex astensione obbligatoria) ed è arrivata dalla sentenza n. 257/2012 della Corte costituzionale: le lavoratrici a progetto (co.co.pro.) hanno diritto a cinque mesi di maternità anche in caso di adozione, e non a tre mesi come previsto dalla legge.
I chiarimenti ai permessi 104La prima novità riguarda dunque i permessi dal lavoro ex legge n. 104/1992, retribuiti e coperti da contributi figurativi, dei quali possono fruire i lavoratori dipendenti qualora si trovino in una delle seguenti situazioni:a) siano portatori di handicap in situazione di disabilità grave (permessi per se stessi); in tal caso si ha diritto a due ore al giorno di permesso ovvero a tre giorni di permesso mensili frazionabili in ore;b) siano genitori di figli in situazione di disabilità grave con età inferiore a tre anni; in tal caso, si ha diritto al prolungamento dell’astensione facoltativa o a due ore di permesso al giorno fino al compimento dei tre anni di vita del bimbo o a tre giorni di permesso mensili anche frazionabili in ore; c) siano coniuge, parenti o affini entro il 1° grado di persone in disabilità grave; in tal caso si ha diritto a tre giorni al mese, anche frazionabili in ore, e il diritto può essere esteso a parenti e affini di secondo grado nel caso in cui i genitori o il coniuge della persona con handicap grave abbiano più di 65 anni o siano deceduti o invalidi. La Funzione pubblica ha fornito i chiarimenti, sollecitata da una pubblica amministrazione la quale ha chiesto parere sul diritto alla fruizione dei permessi da parte di un lavoratore dipendente, al fine di assistere un congiunto anch’egli lavoratore il quale si trova in situazione di handicap grave e che, peraltro, fruisce per se stesso dei medesimi benefici dei permessi dal lavoro (sempre ex legge n. 104/1992). In particolare, la p.a. ha chiesto di sapere se i giorni di permesso dei due soggetti interessati debbano essere fruiti nelle stesse giornate (cosa che sembrerebbe “ovvia” poiché il primo si assenta per prestare assistenza al secondo). E invece la risposta è stata negativa. La normativa di riferimento (legge n. 104/1992), ha spiegato la nota della Funzione pubblica, accordando la facoltà al lavoratore dipendente che assiste il congiunto disabile di beneficiare dei permessi finalizzati alla predetta assistenza, non preclude espressamente la fruizione del beneficio ove il disabile prenda i permessi per se stesso, né tantomeno indica quali debbano essere le modalità di fruizione per il caso prospettato. E’ vero che la situazione ordinaria, aggiunge la Funzione pubblica, è quella in cui coincidano le giornate fruite come permesso e quelle di assenza del soggetto disabile assistito; tuttavia, non è da escludere che qualora il lavoratore che assiste il disabile abbia la necessità di assentarsi per svolgere attività per conto del disabile, nelle quali non è necessaria la sua presenza, egli possa fruire dei permessi anche in giornate nelle quali la persona disabile che è assistita si rechi regolarmente al lavoro. In conclusione, ha precisato la nota, considerando anche la varietà delle situazioni che di fatto si possono presentare, la Funzione pubblica è dell’avviso che una limitazione dell’agevolazione alla fruizione dei permessi da questo punto di vista difficilmente potrebbe giustificarsi in base alla legge.
La sentenza sul congedo di maternitàLa seconda novità interessa le lavoratrici a progetto. E’ arrivata dalla Corte costituzionale che, con sentenza n. 257/2012 ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 64, comma 2, del dlgs n. 151/2001 (Tu maternità). Riguardo al congedo di maternità, stabilisce che le lavoratrici a progetto (co.co.pro.) hanno diritto a cinque mesi di maternità anche in caso di adozione, e non a tre mesi come previsto dalla legge.La corte, prima di tutto, ha ricordato che gli istituti nati a salvaguardia della maternità non hanno più, come in passato, solo il fine di protezione della donna, ma anche di garanzia del preminente interesse del minore, da tutelare non solo per quanto attiene ai bisogni più propriamente fisiologici ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo. Tale principio, ha spiegato la corte, è tanto più presente nei casi di affidamento preadottivo e di adozione, nei quali l’astensione dal lavoro non è finalizzata solo alla tutela della salute della madre, ma mira anche ad agevolare il processo di crescita del bambino, creando le condizioni di una più intensa presenza degli adottanti. In questo quadro, ha quindi concluso la corte, non si giustifica, e appare anzi manifestamente irragionevole, che, con riferimento alla stessa categoria dei genitori adottivi, mentre alle lavoratrici dipendenti, che abbiano adottato o avuto in affidamento preadottivo un minore, spetta il congedo di maternità (con relativa indennità) per un periodo massimo di cinque mesi, sia in caso di adozione (o affidamento preadottivo) nazionale che internazionale, alle lavoratrici iscritte alla gestione separata sia riconosciuta l’indennità di maternità solamente per tre mesi. È vero che tra lavoratrici dipendenti e lavoratrici iscritte alla gestione separata sussistono differenze che rendono le due categorie non omogenee. Nella questione in esame, tuttavia, vengono in rilievo non già tali diversità, bensì la necessità di adeguata assistenza per il minore nella delicata fase del suo inserimento nella famiglia, anche nel periodo che precede il suo ingresso nella famiglia stessa, e tale necessità si presenta con connotati identici per entrambe le categorie di lavoratrici. Ne deriva, ha concluso la corte, che la discriminazione si rivela anche lesiva del principio di parità di trattamento tra le due figure di lavoratrici che, con riguardo ai rapporti con il minore (adottato o affidato in preadozione), nonché alle esigenze che dai rapporti stessi derivano, stante l’identità del bene da tutelare, vengono a trovarsi in posizioni di uguaglianza.
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