sabato 7 maggio 2011
Contributi economici ai neo genitori che decidono di mandare i figli all'asilo nido o l'iniziativa "Bimbi in ufficio". Ecco alcuni esempi virtuosi che possono avvicinare vita privata e lavorativa. Intervista ad Alessandra Rizzi (nella foto), HR Director di Randstad Italia.
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«In Italia, c'è bisogno di più politiche per conciliare lavoro e famiglia». È il parere dell'Ocse espresso nel rapporto sulle politiche familiari, in cui si sottolinea che il Belpaese «è ben al di sotto della media Ocse rispetto a tre indicatori fondamentali sulla famiglia: occupazione femminile, tasso di fertilità e tasso di povertà infantile».  Il dilemma italiano, si spiega, «sta nel fatto che è molto difficile conciliare lavoro e figli ma, allo stesso tempo, un elevato il tasso di occupazione dei genitori è cruciale per ridurre il rischio di povertà infantile». Inoltre, per avere una condizione lavorativa più stabile, spiega l'Ocse, «i giovani spesso postpongono l'età in cui hanno il primo figlio e così la probabilità di non avere figli aumenta».  «In Italia le donne hanno più difficoltà a conciliare lavoro e famiglia» rispetto agli altri Paesi Ocse. «Spesso si trovano a dover compiere una scelta tra avere un lavoro e avere dei figli». Di conseguenza, sia il tasso di natalità sia il tasso di occupazione femminile sono bassi: il primo è fermo all'1,4%, mentre l'occupazione è pari al 48% (la media Ocse è del 59%). In Italia, rileva inoltre l'organizzazione con sede a Parigi, «le donne dedicano al lavoro non retribuito molto più tempo degli uomini: in media, più di cinque ore al giorno le donne e meno di due ore al giorno gli uomini. Si tratta della più ampia disparità di genere nei Paesi Ocse dopo Messico, Turchia e Portogallo. La difficoltà di coniugare il lavoro con la famiglia ha contribuito sulla scelta di avere dei figli: il 24% circa delle donne nate nel 1965 non ha avuto figli; in Francia, per esempio, solo il 10% delle donne nate nello stesso anno non ha figli». Con Alessandra Rizzi, HR Director di Randstad Italia, abbiamo provato a capire le ragioni di questa difficoltà a mettere in atto buone pratiche in grado di migliorare la qualità della vita sia in azienda che in famiglia.Serve la conciliazione, quali sono gli aspetti positivi per dipendente e azienda?Oggi il mondo del lavoro vede sempre meno netta la divisione tra vita privata e vita professionale. Questo significa che non è più sufficiente avere dipendenti soddisfatti, ma che diventa importante per un’azienda avere persone soddisfatte. E una persona è soddisfatta se riesce  a vivere una vita equilibrata tra pubblico e privato, con effetti positivi sia per il singolo che per l’azienda. Investire nella conciliazione aiuta il dipendente a identificarsi maggiormente con la propria organizzazione. Questa identificazione attiva a sua volta  un meccanismo di motivazione intrinseca al lavoro, che consente migliori performance organizzative. E’ infatti dimostrato che là dove il clima aziendale è buono, i risultati economici dell’organizzazione ne risentono positivamente attivando, così,  un circolo virtuoso. Inoltre le nuove generazioni identificano sempre meno il “chi sono” con il “cosa fanno”. Sono maggiormente consapevoli della loro identità personale rispetto a quella professionale. Se 15 anni fa era ancora l’azienda a scegliere un candidato, oggi il processo di selezione è bidirezionale: anche il candidato sceglie attivamente l’azienda per cui lavorare. E  quelle aziende che sanno creare luoghi di lavoro in cui si valorizza anche l’aspetto personale risultano vincenti, riuscendo così ad attrarre i migliori talenti sul mercato. Avere strumenti che facilitino la conciliazione aiuta l’inserimento delle nuove generazioni in contesti lavorativi che sono ancora un mix di culture, di età e quindi di concezioni del lavoro differenti, crea un contesto comune di vissuto quotidiano, che cimenta l’appartenenza al di là del ruolo organizzativo, del genere e dell’età, dando stabilità all’azienda.  Qual è la sua esperienza personale in Randstasd? Randsatd ha l’80% di popolazione femminile in Italia ed il 42% di donne in posizioni di Senior Management. L’età media inoltre è piuttosto bassa (34 anni). La maternità è dunque un evento normale, che abbiamo saputo valorizzare anche con strumenti concreti. Per es.  Baby Randstad è un contributo economico di 250 euro netti al mese in busta paga, erogato a tutti i neo genitori che decidano di mandare il proprio figlio/a all’asilo nido. Grazie a questo contributo economico è dunque possibile rivolgersi ad asili nido privati, che hanno liste di attesa meno lunghe, ma spesso costi elevati. Il risultato? Negli ultimi tre anni il 91% delle mamme rientra al lavoro dopo la gravidanza e il 48% lo fa entro i sei mesi di età del bambino.  Insomma sono dati decisamente incoraggianti rispetto alla media nazionale (pensiamo per esempio che una donna su quattro abbandona il lavoro dopo la gravidanza). Questo dimostra che investire nella conciliazione è una soluzione win-win. Anch’io ho avuto la fortuna di usufruirne per mio figlio. Infatti ho potuto scegliere una struttura privata, più comoda, perchè sulla strada che faccio tutti i giorni per andare in ufficio (anche 15 minuti sono importantissimi per chi deve sopravvivere all’organizzazione del menage mattutino, che prevede da copione qualche capriccio, almeno un imprevisto e spesso poche ore di sonno!)  e con la certezza del rientro in azienda senza dover sottostare ai tempi di una lunga lista d’attesa. Ma conciliare per me non ha avuto un significato esclusivamente organizzativo. È stato infatti importante poter essere serena e concentrata sul lavoro. Questo è stato possibile anche perché ho potuto fare vedere da subito a mio figlio dove andasse la mamma quando usciva di casa o lo lasciava all’asilo. Infatti sin dall’inizio Randstad aderisce all’iniziativa “Bimbi in ufficio”. L’evento si pone un duplice obiettivo: mostrare ai piccoli dove si trovano e cosa fanno mamma e papà quando sono fuori casa, perché possano avere maggiore consapevolezza del luogo in cui i genitori trascorrono la loro giornata lavorativa e toccare con mano le ragioni della loro assenza; in secondo luogo far riflettere circa le problematiche legate alla gestione delle esigenze lavorative e di quelle familiari, perché si possa parlare di famiglia e di lavoro come di due realtà “conciliabili” al fine di migliorare la qualità della vita dei lavoratori. Questa è sempre una giornata speciale in cui mio figlio, negli anni, ha visto i vari uffci in cui ho lavorato, ha potuto conoscere i colleghi di cui parlo spesso, forse anche capire un po’ meglio cosa fa la mamma di mestiere, perché il direttore del personale è certamente meno intuitivo del fare il medico o l’insegnante! E devo dire che i capricci del primo mattino sono decisamente diminuiti, perchè era più chiaro cosa succedesse quando non eravamo fisicamente insieme.      Quali sono i motivi che hanno spinto a istituire un premio? Immagino si riferisca al Randstad Award. Come 2° player internazionale nel settore delle Risorse Umane  vediamo tutti i giorni quanto sia importante per un’azienda essere attrattiva verso i potenziali futuri dipendenti. Più un’azienda è attrattiva, più è facile reclutare le persone migliori sul mercato. La percezione di una azienda sul mercato passa anche attraverso la propria immagine, che quando si parla di persone è lo specchio della politica di gestione delle Risorse Umane. Per la prima volta in Italia un’indagine indipendente ha dato riscontro a un panel importante di aziende, aumentando la loro consapevolezza su ciò che è importante e considerato vincente. Uno dei premi è stato dato proprio alla conciliazione, questo ad indicare quanto il tema sia sentito, soprattutto dalla popolazione femminileCi saranno novità per le prossime edizione del premio?  L’indagine è internazionale, con un format molto preciso, a garanzia anche di possibilità di confronto tra Paesi differenti. Qualche scambio di battute sul palco però c’è stato, soprattutto in riferimento alla gender diversity. Il pubblico presente in sala ha risposto allo stimolo con un grande applauso spontaneo all’idea di valutare anche questo aspetto. Per ora non sono in grado di dire di più, ma mi lasci il tempo di lavorarci su e poi vedremo....Come mai la conciliazione non ha ancora preso piede in Italia? A mio avviso i motivi principali sono due. Da un lato non è un segreto che l’Italia abbia un investimento medio in R&D tra i più bassi in Europa. Questo anche perché chiediamo spesso risultati immediati, cosa non sempre possibile in questo campo. Con le politiche di conciliazione è più o meno lo stesso. Non è sufficiente parlarne, bisogna investire e spesso i risultati si vedono in tempi medio/lunghi. Perché lavorare sulla conciliazione, significa andare a toccare anche la cultura e l’identità di una organizzazione per essere davvero credibili. E qui ci vuole tempo e coerenza. Ci sono davvero molte aziende che ne hanno capito l’importanza ed oggi le buone prassi magari sono poco conosciute. ma sono veramente numerose. Il secondo motivo invece è più complesso, perché c’è ancora un forte condizionamento sociale. Il concetto di cura in senso più ampio, quindi che va al di là della cura dei figli, ma abbraccia tutti i componenti della famiglia, come gli anziani per esempio, è ancora tutto sulle spalle delle donne. Questa responsabilità grava sia fisicamente che psicologicamente sulle donne. Infatti anche quando si sceglie di delegarla o condividerla, si va ancora incontro ad un giudizio. Il che indica quanto lunga sia ancora la strada per l’effettiva parità di responsabilità verso la famiglia, che considero conditio sine qua non per far decollare serie e utili politiche di conciliazione ed aumentare la partecipazione femminile al mondo del lavoro.
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