venerdì 9 agosto 2019
Nel 2018 si è passati da 64mila a 64.300 euro. Verso il superamento del "modello atomistico" della professione
Cresce il reddito, ma resta il divario di genere
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In Italia nel 2018 circa 64mila dottori commercialisti hanno dichiarato un volume d'affari di 7,3 miliardi di euro, di cui 5,9 miliardi riferito agli uomini e 1,4 miliardi alle donne, in crescita del 2,4% rispetto all'anno precedente. In aumento anche il reddito totale dei dottori commercialisti dichiarato nel 2018, riferiti al 2017, che ha superato i 4,1 miliardi di euro (+ 2,1% rispetto all'anno precedente), di cui quasi 3,3 miliardi appartenente agli uomini e oltre 852 milioni alle donne. Questi sono alcuni dei dati emersi dal Reputational Report 2018 della Cassa dottori commercialisti (Cnpadc). Il reddito medio del dottore commercialista dichiarato nel 2018, riferito al 2017, è passato da 64mila a 64.300 euro e il volume d'affari medio è cresciuto da 113.500 a 114.400 euro. Se gli uomini hanno guadagnato nettamente più delle donne, queste ultime hanno fatto registrare incrementi maggiori nel reddito e nel giro d'affari. Il reddito delle professioniste passa da 40.100 a 40.800 euro e il volume di affari da 65.600 a 66.900 euro. Il reddito dei colleghi passa invece da 75.500 a 75.700 euro e il volume di affari da 136.400 a 137.400 euro. È confermata la tendenza a una crescita maggiore dei dati reddituali delle donne (dal 2009 al 2018 +8,2% per i redditi contro un +0,9% degli uomini e +9% contro un +2,9% per i volumi d'affari), anche se le differenze rimangono ancora evidenti. «L'incremento, seppure contenuto, dei redditi e dei volumi d'affari medi - commenta Walter Anedda, presidente della Cnpadc - conferma la capacità, già manifestata nel tempo, dai dottori commercialisti di produrre reddito malgrado l'attuale periodo storico, adeguando le prestazioni fornite all'evoluzione del mercato. Siamo convinti che occorrerà puntare su innovazione, nuovi mercati e nuove competenze per accompagnare il dottore commercialista verso la professione del futuro».

Inoltre i commercialisti che operano in forma associata o societaria (totale o parziale) hanno un reddito medio pari a ben 125mila euro (volume di affari 245mila euro), contro i 49mila euro di chi esercita esclusivamente in forma individuale (volume di affari 80mila euro). Un documento del Consiglio e della Fondazione nazionali della categoria sottolinea i vantaggi derivanti dal superamento del "modello atomistico" degli studi professionali e indica nuovi modelli di aggregazione diversi da quelli tradizionali. I commercialisti, si spiega in una nota, «continuano ad aggregarsi poco e, come la maggior parte delle
professioni liberali, esprimono una voglia di autonomia che li porta a conservare una forte impronta individuale». Tuttavia, l'evoluzione economica e sociale degli ultimi anni, la sempre più forte spinta alle specializzazioni e la crescente complessità dei sistemi socio-economici pubblici e privati, «rendono sempre più inadeguato il modello atomistico della professione».

Parte da questo presupposto il documento ll processo di aggregazione e la digitalizzazione negli studi professionali, con il quale Consiglio e Fondazione nazionali della categoria propongono alcuni strumenti e spunti di riflessione per approcciare l'attività tendente all'aumento dimensionale degli studi, con l'obiettivo di indicare nuovi modelli di aggregazione, resi possibili dall'innovazione tecnologica e dalla digitalizzazione dell'attività professionale. Nel documento si sottolinea la rilevanza dei fenomeni di crisi che interessano la professione di commercialista, tra i quali il calo dei praticanti, degli abilitati e conseguentemente dei giovani iscritti all'Albo. Tra le cause della crisi, il documento individua «la spinta alla concorrenza e la crescente complessità normativa che coinvolgono il mondo delle pmi italiane, che si riflettono inevitabilmente sull'aumento di costi e responsabilità professionale, con maggiori oneri per gli studi soprattutto quelli di minori dimensioni».

Fenomeni ai quali si aggiunge "la più veloce obsolescenza della
durata delle competenze dei professionisti e quindi la necessità di
ricorrere sempre di più alla formazione continua o a nuova formazione
specialistica, con costi di esercizio della professione, ma anche
sulla qualità del lavoro che, in condizioni estremamente
parcellizzate, è spesso fonte di crisi". Altro elemento di sofferenza
è "la digitalizzazione a tutti i livelli dei processi amministrativi,
che rappresenta un costo nell'immediato per professionisti e
imprese". Ma Grosso definisce la digitalizzazione anche "una
straordinaria opportunità per modernizzare il sistema Italia e
favorire di riflesso un profondo rinnovamento della nostra
professione".

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