mercoledì 19 giugno 2013
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​Non è ‘lavoro’ l’aiuto offerto all’azienda familiare da parte di chi è già occupato a tempo pieno o è pensionato. In questi casi, pertanto, l’ispettore non può pretendere l’instaurazione di un rapporto di lavoro vero e proprio, né l’iscrizione dell’aiutante a enti di previdenza: si tratta di collaborazioni che presuntivamente sono da considerarsi di natura occasionale. Lo ha stabilito il ministero del lavoro nella lettera circolare protocollo n. 10478/2013, dettando istruzioni al proprio personale ispettivo. Le istruzioni mirano a fornire agli ispettori un quadro unitario su regole di comportamento in merito alle collaborazioni familiari nell’ambito di imprese, ossia per quei casi non sporadici di piccole imprese (negozi, botteghe, ecc.) in cui il titolare fruisce dell’aiuto di coniuge, parenti e affini. Nella maggior parte di questi casi, per il ministero del lavoro, si tratta di reali collaborazioni basate su un’obbligazione di natura morale, basata cioè sulla cosiddetta “affectio vel benevolentiae causa”, ossia su quel legame solidaristico e affettivo proprio del contesto familiare. In altri casi, invece, si celano soluzioni finalizzate a percepire prestazioni previdenziali. Il ministero, prima di tutto, fissa la regola generale in base alla quale la collaborazione familiare è di tipo occasionale in due casi: pensionati e impiegati full time. Ciò significa che quando le prestazioni sono rese da familiari in pensione o da familiari occupati a tempo pieno presso altri datori di lavoro, le collaborazioni sono ritenute “presuntivamente di natura occasionale”: l’ispettore, perciò, non può pretendere la presenza di un rapporto di lavoro né l’iscrizione presso enti di previdenza. Da notare che, in merito ai collaboratori occupati a tempo pieno, il ministero utilizza una precisa locuzione: «familiare impiegato full time presso altro datore di lavoro»; il che lascia intendere che intenda riferirsi ad un’occupazione necessariamente di tipo dipendente (subordinata).Quanto al requisito “familiare”, il ministero fissa il riferimento generale al vincolo di parentela e di affinità entro il terzo grado, fatta salva la specifica previsione fino al quarto grado per il settore agricolo. In particolare, sono parenti:• di primo grado: i genitori e i figli;• di secondo grado: i nonni, i fratelli e sorelle, i nipoti (figli dei figli);• di terzo grado: i bisnonni, gli zii, gli altri nipoti (figli di fratelli e sorelle), i pronipoti (figli di nipoti di II grado);mentre sono affini (lo sono, sostanzialmente, i parenti del coniuge):• di primo grado: i suoceri;• di secondo grado: i nonni del coniuge e i cognati;• di terzo grado: i bisnonni del coniuge, gli zii del coniuge, gli altri i nipoti (figli dei cognati).In ogni altra ipotesi di collaborazione, il ministero fornisce «un parametro di natura quantitativa di tipo convenzionale da poter utilizzare in linea generale» per l’attività ispettiva. Il parametro viene individuato sulla base delle previsioni di legge che per i settori agricoltura, artigianato e commercio disciplinano le cosiddette «prestazioni di natura occasionale rese dal familiare». Il parametro fissa a 90 giorni nel corso di un anno solare il limite massimo della collaborazione gratuita e occasionale; il parametro è frazionabile in ore, in 720 ore nel corso dell’anno solare. Ciò vuol dire che, nel caso di superamento di 90 giorni, il limite quantitativo si considera comunque rispettato anche se l’attività resa dal familiare si svolga soltanto per qualche ora al giorno nel tetto massimo delle 720 ore annue.

Infine il ministero affronta il problema del disconoscimento del rapporto di lavoro a base di una collaborazione familiare. E spiega che l’istruttoria è necessaria nei casi in cui il familiare risulti inquadrato nell’ambito di un contratto di lavoro subordinato o autonomo, ad esempio con iscrizione all’Inps in concomitanza di eventi che danno diritto ad indennità di maternità.

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