mercoledì 4 giugno 2014
In sei anni siamo passati dal quinto all'ottavo posto nella graduatoria internazionale dei maggiori Paesi produttori.
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In sei anni l'Italia è passata dal quinto all'ottavo posto nella graduatoria internazionale dei maggiori Paesi produttori elaborata annualmente dal Centro studi di Confindustria (Csc). Resta in generale "un ottimo piazzamento", ma pesano "demeriti domestici" che hanno accentuato l'arretramento: "Nel 2007-2013 la produzione è scesa del 5% medio annuo, una contrazione che non ha riscontro negli altri più grandi Paesi manifatturieri". L'industria manifatturiera italiana soffre per fattori che "si intrecciano e accavallano", come "il calo della domanda interna, l'asfissia del credito, l'aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività, la redditività che ha toccato nuovi minimi".Pesano anche "i condizionamenti europei" che "certo non aiutano": tutta l'Europa arretra a eccezione di Germania e Polonia ("ma per quanto a lungo? si domandano gli economisti di Confindustria)per le "politiche fiscali restrittive" e "il paradosso di un euro che si apprezza, specialmente nei confronti delle valute di molte economie emergenti, e frena così il driver delle esportazioni".In un quadro della produzione manifatturiera mondiale che "ha ripreso a crescere", rilevano ancora gli economisti di Confindustria nel tradizionale rapporto di giugno sugli scenari industriali, "arranca l'Europa, fiaccata da politiche di bilancio, dal credit crunch e da un euro forte che rallenta le esportazioni". L'Italia "tra tutte le grandi economie industriali appare il Paese più in difficoltà, scontando gli effetti congiunti del crollo della domanda interna e di un costo del lavoro alto". Anche se resta "una forte capacità di competere" e "ci sono segnali di cambiamento delle strategie delle imprese" per reagire alla stretta creditizia senza ridurre gli investimenti. Mentre la produzione manifatturiera mondiale è cresciuta è cresciuta del 36% nel 2001-2013, "l'Italia nello stesso periodo ha subito un crollo del 25% con cadute in tutti i comparti a eccezione di quello alimentare". Dal 2001 al 2013 la manifattura italiana ha perso circa 120.000 imprese e quasi 1,2 milioni di addetti. Tante, e note, le cause: il calo della domanda interna, l'asfissia del credito, il calo della redditività, l'aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività. Molte imprese però hanno reagito, mantenendo e anzi aumentando, proprio negli anni della crisi, le risorse destinate alla ricerca e all'acquisto di brevetti, e rafforzando il contenuto di valore aggiunto dell'export.Quanto alla "classifica" dei maggiori Paesi produttori, con l'ultimo aggiornamento del Csc, nel 2013 si conferma in vetta la terna Cina, Stati Uniti, Giappone; la Germania è ancora quarta, seguita come l'anno prima da Corea del Sud e India. Al settimo posto il Brasile che sorpassa l'Italia, che scende quindi dal settimo all'ottavo posto.
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