giovedì 6 aprile 2017
Con l'automazione e la robotica si possono creare anche opportunità occupazionali. Ma il nostro Paese deve recuperare il divario con maggiore formazione e più investimenti
Tecnologia e lavoro, prove di dialogo
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Prima uscita pubblica del Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro) dopo il referendum che ne aveva messo in discussione il ruolo e la stessa esistenza. A Villa Lubin si è dibattuto di Innovazione tecnologica e lavoro, un momento di confronto sulle opportunità e i ritardi del nostro sistema economico, ma anche sulle possibili convivenze in un mondo che è sempre più veloce e dominato da Internet, dai social, dalla robotica e dall'intelligenza artificiale.

L’ultimo World Economic Forum aveva dedicato a questo tema il suo rapporto annuale, ricordando che la vera sfida si giocherà di qui al 2020 non tanto sull’evitare la sostituibilità uomo-automa per lavori tutto sommato anche usuranti, ma nel far colmare in fretta il divario formativo che potrebbe cogliere di sorpresa gli addetti di alcuni settori specifici.

Secondo lo studio McKinsey, infatti, l’automazione potrebbe portare benefici al Pil globale facendolo crescere ogni anno tra lo 0,8 e l’1,4%. In tutto più di 2mila attività lavorative in circa 800 settori occupazionali a livello mondiale potrebbero essere svolte da robot togliendo virtualmente qualcosa come 12 trilioni di dollari di stipendi – circa 11 mila miliardi di euro – dalla faccia della Terra. Eppure a oggi solo il 5% delle attività economiche “umane” è suscettibile di essere interamente eseguita da un non-umano.

Intanto automazione industriale, telecomunicazioni, robotica hanno costituito nel 2016 la fetta più importante delle fusioni e acquisizioni nel mondo. Le operazioni in questo settore hanno sfiorato i 700 miliardi di dollari. Non solo: in un anno di calo generalizzato (-19% sul 2015, secondo i dati Mergermarket), il comparto tecnologico ha messo a segno una crescita delle operazioni del 3% rispetto all’anno precedente.

«È sempre esistita una tensione dinamica fra progresso tecnologico e lavoro del'uomo - spiega Giuseppe Pennisi, presidente della Commissione Speciale dell'Informazione del Cnel - e il potenziale implicito nella tecnica alleata del lavoro e nella supremazia del lavoro in quanto fonte di dignità individuale. Questo seminario è anche un'occasione di confronto tra tutte le parti sociali su un tema di un'attualità straordinaria. Serve a poco la tassazione dell'impiego di robot, se non si creano gli strumenti per accompagnare l'innovazione in un mercato del lavoro in continuo cambiamento».

Nonostante l'Italia sia in ritardo, dal punto di vista della diffusione della cultura digitale, esistono numerosi esempi virtuosi di imprese italiane in competizione con altre realtà mondiali. Per Massimo Blasoni, presidente del Centro studi Impresa Lavoro «servono più misure che favoriscono l'innovazione e meno regole che impediscono agli imprenditori di competere sul mercato».

Tuttavia il nostro Paese - con il programma Industria 4.0 - ha l'ambizione di recuperare il terreno perduto nei confronti di altre economie europee e mondiali. «Dal 2001 - sottolinea Salvatore Zecchini, della Commissione Ocse per le piccole e medie imprese - la nostra economia ristagna per motivi legati anche a modelli entrati in crisi, all'evoluzione demografica e alla carenza di innovazione. Si assiste, però, a un cedimento della produttività tra imprese. Con alcune all'avanguardia e di frontiera in grado di affrontare la sfida della digitalizzazione, della globalizzazione, della formazione e della conoscenza. Industria 4.0 ha diversi meriti, ma ancora non è diffuso nelle pmi. Inoltre manca un collegamento tra istruzione e innovazione».

Paolo Reboani di Istat, invece, si è soffermato sulle centinaia di migliaia di posti vacanti per mancanza di competenze: «Servono politiche attive del lavoro più efficaci. Il rafforzamento dell'istruzione tecnico-professionale, dell'alternanza scuola-lavoro e della formazione legata alle necessità delle imprese possono colmare il divario italiano. Contratti più agili, in particolare quelli di apprendistato, possono facilitare l'inserimento lavorativo dei giovani».


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