martedì 28 giugno 2011
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Class action: negli Stati Uniti è l’argomento del momento. Una recente sentenza della Corte Suprema, che ha respinto la più grande richiesta di azione collettiva nella storia del Paese, interessando potenzialmente quasi un milione e mezzo di lavoratrici, ha avviato un accesso dibattito che va ben oltre gli addetti ai lavori. Ad essere messe in discussione sono infatti le più recenti e innovative tecniche di tutela dei lavoratori oltreoceano. Un gruppo di donne, tutte impiegate nella discussa catena di negozi della Wal-Mart, colosso della grande distribuzione in America con quasi 4000 punti vendita, si era mobilitato per contestare una disparità di trattamento rispetto ai colleghi da parte dell’azienda. Tra gli esempi più evidenti di pratiche discriminatorie nei confronti delle impiegate una retribuzione oraria di gran lunga inferiore a quella dei maschi e soprattutto una percentuale femminile nelle posizioni direttive pressoché minima (meno del 30%). Ciononostante, la Corte Suprema ha ribaltato la decisione della Corte d’appello di San Francisco, che in precedenza si era pronunciata positivamente in merito alla possibilità di avviare un’azione collettiva contro la Wal-Mart. La class action, considerato soprattutto in America uno dei maggiori strumenti di tutela per i lavoratori, è infatti un procedimento che concede a un gruppo di soggetti appartenenti a una stessa categoria, fermo restando la presenza di un danno comune, di “riunire” le proprie azioni in un’unica causa e di chiederne la risoluzione ad un organismo al di sopra delle parti. Più o meno quanto accaduto in Italia nelle cause per risarcimento intentate nei confronti di Parmalat e Cirio a seguito del fallimento delle due società. I giudici americani, tuttavia, non hanno riconosciuto l’esistenza delle condizioni per ricorrere alla class action. Secondo la Suprema Corte, infatti, le dipendenti di Wal-Mart svolgono mansioni talmente diverse all’interno dell’azienda che non sono raggruppabili in un’unica classe, rendendo impossibile il ricorso allo strumento dell’azione collettiva. In termini pratici questo vuol dire che le lavoratrici potranno comunque intentare causa all’azienda singolarmente, ma con minori possibilità di vittoria e dovendo sostenere costi decisamente più onerosi. Si è spesso parlato, in questi giorni, delle premesse per un definitivo tramonto di questo fondamentale strumento di tutela. Proprio per questa ragione, alla luce anche del peso che riveste il precedente giurisprudenziale nell’ordinamento americano, i movimenti femministi e le organizzazioni sindacali si stanno mobilitando per sensibilizzare l’opinione pubblica. Anche Nancy Pelosi, portavoce della Camera dei Rappresentanti e una delle prime donne a ricoprire cariche istituzionali importanti in America, ha voluto esprimere il suo disagio per la decisione dei giudici, sostenendo la necessaria istituzione di una legge che tuteli i diritti delle donne lavoratrici ed offra loro pari opportunità ed uguaglianza di trattamento nei confronti dei colleghi. Dall’altra parte, i rappresentanti della Wal-Mart si dicono soddisfatti per un risultato storico, che potrebbe creare un precedente importante e limitare le potenzialità della class action quale meccanismo di tutela e di protezione di migliaia di lavoratori.
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