mercoledì 22 dicembre 2010
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«Cercando in Google "trovare lavoro a 52 anni" sono atterrato sul vostro sito e ho trovato una drammatica lettera di un tale alla ricerca di un lavoro a 52 anni. Anch’io ho 52 anni e continuo a rispondere a decine e decine di annunci, ovviamente senza esito alcuno. Ho notato che, tralasciando le ricerche di personale con specifiche competenze professionali, tutte le altre offerte sono rivolte a persone in mobilità, categorie protette oppure max 45 anni. La spregiudicatezza degli imprenditori che cercano solo personale a basso costo contributivo, contrattualizzandolo con proposte indecenti, è veramente disarmante per chi, dopo 30 anni di lavoro, si vede buttato per strada senza aiuto alcuno, se non la misericordia di qualche buona anima». «Ho 50 anni, lavoro con un contratto a tempo determinato che mi scade nel 2011 e il mio datore di lavoro già ora mi informa che non mi verrà rinnovato. Per raggiungere l’età pensionabile ho ancora di fronte alcuni anni di vita lavorativa. Spasmodicamente sono alla ricerca di un lavoro serio, anche fuori dalle mie specifiche competenze. Mi adatto a tutto, ovviamente dallo stipendio basso all’attività manuale più umile: niente! A 50 anni nessuno legge più il mio cv».Questa due lettere, giunte al sito internet della Cisl di Milano, descrivono bene la situazione (e lo stato d’animo) dei lavoratori maturi, o senior come si dice oggi: persone di 45-50 anni e oltre, che dopo essere state espulse dal mercato del lavoro, fanno enorme fatica a rientrarvi e spesso non ci riescono proprio. «Con la crisi – osserva Armando Rinaldi, vicepresidente di Atdal-Over 40  - la situazione è peggiorata. Molti fra i lavoratori licenziati in questi mesi hanno più di 40 anni. Nel 2008, secondo una stima del ministero del Lavoro, circa 200mila over55enni erano considerati non più ricollocabili, perché non lavoravano da due o tre anni. Una persona che sta ferma per un periodo così lungo non trova più nulla. E spesso si tratta di soggetti privi di reddito e ancora lontani dalla pensione. Ha un bel dire il ministro Brunetta che spostare di un anno l’età pensionabile non fa differenza. Chi si trova in queste condizioni la differenza la sente eccome. È un dramma».I senior sono prigionieri di un paradosso: i bilanci pubblici (e l’innalzamento dell’età media) impongono il prolungamento della loro permanenza nel mercato del lavoro, ma in occasione di ristrutturazioni e crisi aziendali sono i primi ad essere licenziati, perché considerati poco flessibili e più "costosi" dei giovani. «La questione anagrafica – nota Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmager – non emerge solo nei momenti di crisi. Spesso, quando un lavoratore si avvicina all’età pensionabile viene spinto ad andarsene. Con incentivi economici e pressioni anche psicologiche, che gli fanno capire che non è più considerato utile. Ciò per abbattere i costi e fare spazio a percorsi di carriera per i più giovani. Ma l’espulsione di un senior con esperienza è un impoverimento per l’azienda. Le nostre imprese non si preoccupano del problema della trasmissione delle competenze. Non c’è la cultura del tutoring e del coaching che invece dovrebbe rappresentare una tecnica gestionale diffusa».E allora che fare? Gli esperti sono concordi nel dire che occorre puntare sulla formazione per riqualificare i lavoratori e renderli più "occupabili". Il problema è che il sistema non sempre funziona bene. «In Italia – insiste Rinaldi – tutti gli anni vengono stanziati milioni di euro al capitolo "sostegni al riavviamento al lavoro". In questo contesto vengono finanziati corsi di formazione di tutti i tipi, che drenano risorse pubbliche ma non servono ai lavoratori. Occorrerebbe selezionare meglio gli enti che li erogano, puntando ad esempio su quelli che stringono rapporti e fanno accordi con le imprese in vista di eventuali assunzioni. Ci sono senior che partecipano a corsi su corsi, ma il lavoro non lo troveranno mai. Poi serve una riforma degli ammortizzatori sociali. Come fa a campare una persona che non ha reddito e non ha un’occupazione? Bisognerebbe istituire un’indennità, chiamiamola di disoccupazione o come si vuole, che accompagni alla pensione chi non è più ricollocabile».Secondo una stima di Federmanager, in Italia, tra 2009 e 2010, nell’industria si sono persi almeno 10mila posti di lavoro a livello dirigenziale, la stragrande maggioranza dei quali era appannaggio di over 50enni. Persone che oggi incontrano molti problemi a reinserirsi nel mercato, ma che avrebbero le potenzialità e i requisiti per farlo. «I senior – aggiunge Ambrogioni – non sono vuoti a perdere. Le loro competenze possono essere ancora molto utili, in particolare alle piccole aziende, così diffuse in Italia. Penso, ad esempio, all’esperienza, ancora poco nota, delle "reti d’impresa": micro-realtà che si mettono insieme e affidano la gestione di alcune attività, come l’internazionalizzazione e l’innovazione tecnologica, ad un manager esterno: un ruolo, questo, che potrebbe tranquillamente essere ricoperto da un senior. Nel senese alcuni produttori di vini, dolci e salumi hanno scelto questa strada per farsi conoscere all’estero e tutelare il marchio. Lo stesso discorso vale per il temporary manager, altra figura strategica di sostegno allo sviluppo e al rinnovamento delle piccole imprese». L’impressione è che il problema sia anche culturale. Le imprese, soprattutto (ma anche il mondo politico), dovrebbero cominciare a convincersi che la politica del "young in, old out" ("dentro i giovani, fuori i vecchi"), non è detto che sia vincente.
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