sabato 7 maggio 2016
Per il sindacato di Corso Italia, andrebbero confrontati con gli 800mila persi dall'inizio della crisi, di cui il 60% a tempo determinato.
Jobs act, Cgil: per 100mila posti spesi sei miliardi
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Un risultato "sproporzionato", "decisamente insoddisfacente", quello che il Jobs act, fiore all'occhiello della politica del lavoro del governo Renzi, ha portato a casa: per creare poco più di 100mila nuovi posti ha speso - nel solo 2015 - 6,1 miliardi. Un risultato costi-benefici, dunque, "decisamente sproporzionato" che dimostra "la spaventosa inefficienza" della riforma. A fare i conti in tasca al governo è un Report Cgil.Per il sindacato di Corso Italia, infatti, i 100mila nuovi posti di lavoro creati con i 6,1 miliardi andrebbero confrontati con gli 800mila posti persi dall'inizio della crisi, di cui il 60% a tempo determinato. Cifre queste, prosegue, che indicano ''una migliore tendenza, anche se con numeri insoddisfacenti''.Le risorse messe in campo dal governo nel 2015 per stimolare l'occupazione, riassume la Cgil, derivano dalla somma del costo della decontribuzione - 3,4 miliardi di euro lordi (i contratti che hanno beneficiato dell'esonero sono stati circa 1,5 milioni) - con gli oltre 2,7 miliardi delle deduzioni Irap. Costi che, avverte il sindacato, nel 2016 e nel 2017 arriveranno rispettivamente a 8,3 e a 7,8 miliardi.Per la Cgil, dunque, ''non si possono affidare al mercato circa otto miliardi di euro all'anno nella convinzione che le imprese, attraverso l'abbattimento dei costi, siano capaci di aumentare il numero degli occupati". Meglio impiegarli in investimenti pubblici e per creare direttamente occupazione, specie giovanile e femminile, generando così molti più posti di lavoro: "Stanziando dieci miliardi all'anno per tre anni, attraverso investimenti e assunzione diretta in settori non esposti alla concorrenza, si verrebbero a creare circa 740mila posti di lavoro, tra pubblici e privati", calcola ancora il sindacato di Corso Italia.''L'unica modalità concepita dal governo per uscire dalla crisi - conclude il dossier - sembra essere quella di abbassare salari, occupazione e diritti del lavoro, mentre per creare valore aggiunto occorre invece aumentare la quantità e la qualità del lavoro come della produzione''.
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