lunedì 19 marzo 2012
Crollo degli investimenti in opere pubbliche: -35% negli ultimi vent'anni. Il 61% degli italiani teme in futuro un Paese più congestionato. Una proposta del Censis per ridurre il conflitto sul territorio.
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Negli ultimi 20 anni gli investimenti in infrastrutture sono stati segnati da un inarrestabile declino. In Italia, dal 1990 al 2010, sono infatti diminuiti fino agli attuali 29 miliardi di euro, con una contrazione in termini reali del 35%, a fronte di un aumento del pil nello stesso periodo del 21,9%. Si è così allargato il divario con l'Europa ma, intanto, qualcosa sta cambiando nell'opinione pubblica: il 58% degli italiani è convinto per per tornare a crescere devono ripartire le infrastrutture e il 61%teme in futuro un Paese più congestionato.
È questo il quadro che emerge dalla ricerca presentata dal Censis, dal titolo "Tornare a desiderare le infrastrutture. Trasformazione del territorio e consenso sociale". Una ricerca che pone l'accento sulla necessità di riaprire un ciclo di modernizzazione del Paese, facendo leva sul 'dibattito pubblico finalizzatò per coinvolgere i territori e i cittadini interessati dalla realizzazioni delle opere.
Come sottolinea il Censis, la tesi corrente attribuisce il crollo degli investimenti pubblici alle indagini giudiziarie di Tangentopoli, che certamente hanno rappresentato uno shock per i principali protagonisti dei processi di realizzazione delle opere. Tuttavia, da quel 1992 si è andata esasperando la competizione per catturare risorse finanziarie pubbliche. La spesa per prestazioni sociali è così arrivata a 442,6 miliardi di euro, aumentando nello stesso periodo 1990-2010 del 397,4%. La società ha scelto di riappropriarsi individualmente delle risorse disponibili, perdifendere pensioni, sanità, assistenza e ogni altro tipo di trasferimento diretto all'individuo, rinunciando al miglioramento dei beni collettivi, di cui le infrastrutture costituiscono la parte più importante e costosa. E c'è da aggiungere, prosegue il Censis, l'impatto dei cambiamenti demografici, in particolare gli effettidella longevità, che, pur costituendo di per sè un meccanismo positivo, finisce per indebolire la spinta a traguardare obiettivi a medio termine come il miglioramento infrastrutturale. La popolazione anziana, con 65 anni e oltre, è arrivata a contare 12,3 milioni di persone, passando dal 15,1% al 20,3% del totale.
Nel frattempo, gli altri grandi Paesi europei hanno investito in infrastrutture. Dal 1990 la rete autostradale (a pedaggio e non) è cresciuta in Italia del 7%, nel Regno Unito dell'11,9%, in Germania del 16,5%, in Francia del 61,8%, in Spagna del 171,6%. Vent'anni fa eravamo al secondo posto in Europa per le ferrovie veloci, dopo la Francia, ora siamo all'ultimo posto fra i grandi Paesi: dal 1990 da noi sono stati realizzati 699 km, in Francia (che partiva già da 710 km) altri 1.186, in Germania 1.195 km in più, in Spagna (che partiva da 0) 2.056 km.Anche in campo infrastrutturale, in Italia ha vinto il soggettivismo. Una posizione di vertice possiamo rivendicarla infatti nella maggiore densità automobilistica. Con 605 auto ogni mille abitanti superiamo la pur dotata Germania del 18,6% (sarebbe uno spread a nostro favore di ben 1.860 punti base), del 21% la Francia, del 26,6% la Spagna e del 28,7% il Regno Unito.Alla carenza di adeguate infrastrutture aeroportuali, inoltre, può essere attribuito anche il divarioesistente nell'ambito del trasporto aereo. Il pur accresciuto numero di passeggeri trasportati in Italia, oggi pari a 183 ogni 100 abitanti, è inferiore al dato della Francia (194 passeggerei per 100 residenti), della Germania (207), del Regno Unito (310) e della Spagna (334). E siamo il Paese anche con meno aeromobili in servizio: 273 rispetto ai 337 della Spagna, i 441 della Francia, i 670 della Germania, il che significa diventare sempre più un mercato di raccolta, piuttosto che un sistema competitivo.
Ma con la crisi qualcosa sta cambiando. Secondo un'indagine Censis-Rur, il 58% degli italiani è convinto che per tornare a crescere è indispensabile realizzare nuove infrastrutture. Il 42% ritiene al contrario che è bene salvaguardare il territorio cercando di non realizzare nuovi interventi, in particolare nel Nord-Est (47,5%) e nel Centro Italia (46,5%). Tuttavia, negli anni più recenti, la notevole quota di italiani diffidenti verso gli interventi infrastrutturali sembra rendersi conto che il non agire può provocare un abbassamento della qualità della vita. Dalla recentissima indagine del Censis sull'Italia al 2020 emerge una diffusa consapevolezza delle conseguenze che la mancanza di reti potrà provocare in futuro. Ad esempio, nel campo dei trasporti, il 61% dei cittadini prevede che, se si continua così, fra 5-10 anni l'Italia sarà un Paese più congestionato, con una mobilità semprepiù lenta e con difficoltà di spostamento.
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