giovedì 9 giugno 2016
​Danno lavoro a 68mila docenti. Sono l’8,2% dei residenti, ma solo il 4,2% riceve aiuti. Imprese a +49%.
Italia più povera senza immigrati
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Quasi il 10% degli insegnanti italiani, 68 mila docenti, senza più un lavoro. E 35 mila classi scolastiche svanite. Per non dire delle 449 mila imprese, il 14% del totale, chiuse. E non dimentichiamo l’addio a 693 mila lavoratori domestici. Ma è solo una parte della catastrofe, di quello che l’Italia non sarebbe se avesse davvero sbarrato il passo agli stranieri.

Un dramma economico, sociale, culturale, che il Censis ha elaborato in una simulazione statistica che polverizza pregiudizi e leggende metropolitane. A cominciare dall’anagrafe. Senza stranieri ci troveremmo con una diminuzione di 2,6 milioni di giovani al di sotto dei 34 anni. Un Paese per vecchi, sull’orlo del precipizio demografico, salvato dagli immigrati. Le nascite da almeno un genitore straniero fanno registrare un costante aumento: +4% dal 2008 al 2015, a fronte di una riduzione del 15,4% dei nuovi nati da entrambi i genitori italiani. Dei 488 mila bambini venuti al mondo nel 2015 (il più basso numero di nascite dal 1861, anno dell’Unità d’Italia), più del 20% ha almeno un genitore straniero. Per essere precisi: 387 mila sono nati da mamma e papà italiani, mentre 73 mila (15%) hanno entrambi i genitori stranieri e 28 mila (quasi il 6%) hanno uno dei due genitori immigrati.

I dati sono stati diffusi dal Censis con uno studio sulla "Integrazione nella società molecolare", nell’ambito dell’annuale appuntamento di riflessione di giugno "Un mese di sociale". «Il futuro dell’Italia passa attraverso la capacità di gestire l’incontro con il mondo dell’immigrazione e la sua integrazione nella società», ha commentato don Giancarlo Perego, direttore della fondazione Migrantes, che fa appello anche al pragmatismo. «È un discorso che, al di là degli aspetti umanitari messi sempre in evidenza da Papa Francesco e dalla Chiesa e che restano fondamentali, ha una sua piena validità in termini di mera "convenienza", nonostante gli allarmi lanciati in continuazione da una certa politica demagogica che guarda solo agli interessi elettorali». Accogliere e integrare non è da «buonisti», ma esprime «intelligenza e lungimiranza».Prendiamo l’istruzione. Gli alunni stranieri della scuola pubblica nel 2015 erano 805.800, il 9,1% del totale. Senza di essi (e si tratta di bambini per la maggioranza nati in Italia) si avrebbero 35 mila classi in meno, «e saremmo costretti a rinunciare a 68.000 insegnanti, vale a dire il 9,5% del totale», precisa il Censis. Anche sul mercato del lavoro lasciar fuori i migranti vorrebbe dire fare a meno di 693 mila lavoratori domestici (il 77% del totale), «che integrano con servizi a basso costo e di buona qualità – osserva l’istituto di ricerca – quanto il sistema di welfare pubblico non è più in grado di garantire».

Le cifre raccontano anche della laboriosità dei migranti, che non vivono affatto a spese dello Stato e che semmai sono una risorsa per l’economia e le casse pubbliche. Nel primo trimestre del 2016 i titolari d’impresa stranieri erano 449 mila (il 14% del totale) con una crescita del 49% dal 2008 a oggi, mentre nello stesso periodo le imprese guidate da italiani diminuivano dell’11,2%. Senza questi lavoratori anche il sistema previdenziale sarebbe vicino alla bancarotta. Il rapporto tra "dare" e "avere" vede ancora i cittadini italiani in una posizione di vantaggio. Gli stranieri beneficiari di un assegno mensile sono 141 mila, nemmeno l’1% degli oltre 16 milioni di pensionati italiani. Quanti accedono ad altre prestazioni di sostegno del reddito sono 122 mila, vale a dire il 4,2% del totale, nonostante gli immigrati siano oggi l’8.2% della popolazione residente.

La prova, secondo il Censis, che sul territorio le cose vadano meglio di quanto la politica strillata e l’informazione sguaiata non vadano raccontando. «Un modello di integrazione dal basso, molecolare, diffuso sul territorio – si legge nella nota del Censis – che ha portato oltre 5 milioni di stranieri (che rappresentano l’8,2% della popolazione complessiva), appartenenti a 197 comunità diverse, a vivere e a risiedere stabilmente nel nostro Paese e che, alla prova dei fatti, ha mostrato di funzionare bene», scongiurando «l’involuzione patologica» di altri Paesi europei. A cominciare dall’arruolamento di mujaheddin proprio tra i giovani delle periferie ghetto delle metropoli.

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