lunedì 28 novembre 2016
Lo Stato non può pretendere la riscossione di contributi, imposte e tasse dopo cinque anni
Prescrizione delle cartelle di pagamento
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Lo Stato non può pretendere il pagamento di contributi, imposte e tasse dopo cinque anni. Se la prescrizione è breve (cinque anni nel caso dell’Inps) infatti, anche se la cartella di Equitalia viene impugnata oltre il termine di 40 giorni, il termine di prescrizione non si allunga a dieci anni. La buona notizia per i contribuenti è arrivata dalla sentenza n. 2339/2016 della Corte di Cassazione che, a Sezioni Unite, ha dato torto all’Inps. Il principio, però, vale per tutte le entrate dello Stato, sia tributarie e sia extra-tributarie, nonché di quelle degli enti locali (regioni, province, comuni) e anche per le relative sanzioni.

La vicenda nasce da una controversia tra l’Inps e un commerciante, con quest’ultimo reo per non aver pagato alcuni anni di contributi. Quando riceve la cartella di pagamento, però, sono trascorsi più di cinque anni: il debito contributivo dunque dovrebbe risultare ormai prescritto (la prescrizione per i debiti contributi, infatti, è di cinque anni). Pertanto, il commerciante fa ricorso contro la cartella chiedendo appunto l’intervenuta prescrizione del debito, ma lo fa con ritardo, cioè oltre il termine dei 40 giorni, perentorio, previsto per impugnare le cartelle di pagamento. Il Tribunale di Catania dichiara inammissibile il ricorso sostenendo che, poiché è spirato il termine per l’impugnazione della cartella (cioè i 40 giorni), trova applicazione la prescrizione ordinaria che, in base all’art. 2953 del codice civile, è di dieci anni. La questione finisce in Corte di appello adita dal commerciante, la quale gli dà ragione dichiarando che il credito vantato dall’Inps nella cartella di pagamento è bello e prescritto senza potersi in alcun modo invocare la prescrizione decennale.

L’Inps non ci sta e fa ricorso per Cassazione. La questione è affidata alle Sezioni Unite perché ci si sono delle “disarmonie” in giurisprudenza. Il problema da risolvere è se la decorrenza del termine per fare opposizione alla cartella di pagamento (40 giorni):
a) produca soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito;
b) o determini, oltre all’irretrattabilità del credito, anche l’effetto di rendere applicabile l’art. 2953 del codice civile (cosa sostenuta dall’Inps), con la conversione del termine di prescrizione da breve (cinque anni ai fini Inps) in ordinaria decennale.
Secondo l’orientamento maggioritario vale la prima soluzione, perché la cartella di pagamento (e anche il nuovo Avviso di Addebito dell’Inps che è simile alla cartella di pagamento) sono atti amministrativi e, in quanto tali, sono privi di attitudine ad acquistare efficacia di giudicato e di ordine processuale, con la conseguenza di rendere non applicabile l’art. 2953 del codice civile (la norma che allunga a dieci anni la prescrizione).
A sostegno della seconda soluzione (quella dell’Inps) c’è un diverso orientamento che prende vita da diverse sentenze della sezione tributaria, in materia di Iva (sentenza n. 22977/2010 e altre) e in materia di tasse automobilistiche (sentenza n. 701/2014).

In conclusione le Sezioni Unite approvano la prima soluzione: la decorrenza del termine per fa ricorso alla cartella di pagamento produce solo l’effetto dell’irretrattabilità del credito, ma non determina pure l’applicazione dell’art. 2953 del codice civile, cioè la conversione del termine di prescrizione da breve (cinque anni) a ordinaria (decennale). Il nuovo principio, spiga infine la sentenza, valgono per tutte le entrate dello Stato, degli enti locali e per le relative sanzioni.

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