martedì 31 maggio 2016
La diocesi, messa sotto accusa da un quotidiano, precisa investimenti e perdite nelle sue operazioni con Veneto Banca.
Treviso chiarisce: nessuno spreco di 8xmille
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Nemmeno un centesimo delle quote di 8xmille ricevute dalla diocesi di Treviso è mai stata investita in azioni di Veneto Banca. La smentita di monsignor Gianfranco Agostino Gardin, arcivescovo-vescovo della Chiesa trevigiana, arriva netta e puntuale, dopo aver letto gli articoli de "La Stampa" di martedì. Secondo il quotidiano torinese, infatti, nella svalutazione del patrimonio azionario dell'istituto di credito sarebbero «andati in fumo anche fondi 8xmille». «Assolutamente no – ribatte il presule –. L'8xmille che le diocesi ricevono dalla Cei non va in banca. Si usa per i fini previsti dalla legge e cioè esigenze di culto della popolazione e interventi di carità. Noi abbiamo sempre rispettato questa regola e ne diamo regolare rendiconto, impiegando le cifre per le molteplici necessità dei poveri, per la manutenzione delle nostre chiese e per tutti gli altri usi consentiti». Monsignor Gardin ricorda, inoltre, che contrariamente a quanto si evince dai servizi del quotidiano, ente diocesi e Istituto diocesano per il sostentamento del clero (Idsc) sono realtà distinte. «Ognuno ha i suoi beni e un proprio consiglio di amministrazione. Perciò – sottolinea – i due organismi non vanno assolutamente confusi». Per quanto riguarda la diocesi, aggiunge, «abbiamo una piccola partecipazione azionaria in Veneto Banca, ma nulla a che vedere con le cifre pubblicate. E soprattutto, lo ripeto, sono azioni comprate non con fondi dell'8xmille, ma con i proventi della vendita di un immobile». L'economo diocesano, don Adriano Fardin, conferma: «Diversi anni fa la diocesi vendette una casa per ferie di sua proprietà e, in attesa di reimpiegare il ricavato per altre finalità, comprò azioni di Veneto Banca, che ha rivenduto già da tempo, quando si decise di costruire una casa per ferie destinata alle famiglie con disabili e di finanziarla proprio con quei fondi. Ci è rimasto un piccolo pacchetto azionario, per cui il danno per l'ente diocesi è circoscrivibile a quello. Nella peggiore delle ipotesi – precisa don Fardin –, cioè se le azioni valessero zero, si tratterebbe di una cifra intorno ai 150mila euro». Dieci volte più consistente è invece la sofferenza dell'Idsc (Istituto diocesano per il sostentamento del clero). Il presidente, don Giuseppe Minto, conferma che la perdita dell'Idsc si aggira sul milione e mezzo di euro, ma precisa: «Non sono soldi provenienti dall'8xmille e, tra l'altro, chi conosce la legge che nel 1985 ha istituito gli Idsc sa che questo non sarebbe neanche possibile». Da dove vengono, dunque, i fondi? Il sacerdote spiega che «l'Idsc ha come suo fine istituzionale l'amministrazione del patrimonio destinato al sostentamento del clero. Nella nostra diocesi i presbiteri sono 400 e i redditi di questo patrimonio contribuiscono a pagare la loro remunerazione al 20-25 per cento. Vi è poi una piccola parte che viene accantonata per la manutenzione del patrimonio stesso, in modo che non si svaluti progressivamente. L'acquisto di azioni di Veneto Banca, avvenuto negli anni, era stato effettuato con questa percentuale e serviva proprio a tale fine». Non è stata un'operazione un po' avventata? «Sono in carica da poco più di un anno e non ho proceduto all'acquisto – risponde il presidente dell'Idsc –, ma a suo tempo la scelta è stata effettuata perché le azioni erano state garantite come sicure, perché offrivano una redditività leggermente superiore a quella di altre opzioni e perché assicuravano un collegamento con il territorio». LA SCHEDASostentamento del clero. Ecco come funziona Il sostentamento del clero di derivazione concordataria prevede che ogni comunità provveda ai propri sacerdoti. E che solo nella misura in cui ciò non sia in tutto o in parte possibile intervenga l'Istituto centrale sostentamento del clero (Icsc) con i fondi 8xmille che ogni anno i vescovi destinano a tale scopo. In ogni diocesi, dunque, opera un Istituto diocesano (Idsc) che amministra alcuni beni (quelli degli antichi "benefici" legati alla congrua) e ne destina il reddito al sostentamento dei sacerdoti locali. Per ogni sacerdote, poi, viene stabilita la remunerazione in base ad alcuni parametri (incarichi ed età soprattutto; si va da 800 a 1.300 euro lordi). Si detrae la quota che, se è parroco o viceparroco, è in carico alla parrocchia o quella che deriva da redditi propri (ad esempio se è prof di religione), si calcola la parte che proviene dai fondi dell'Idsc e l'eventuale ulteriore eccedenza viene integrata dall'Icsc. Gli Idsc, dunque, non ricevono fondi 8xmille, ma contribuiscono con i loro redditi a far sì che diminuisca la quota di 8xmille per il clero, aumentando quelle per culto e carità.
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