sabato 25 giugno 2016
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«Sarebbe davvero interessante sapere come i cattolici hanno votato sul referendum ma, purtroppo, dati precisi non ne esistono». Luke Coppen, direttore del Catholic Herald, settimanale vicino alla Chiesa cattolica inglese che vende 20mila copie in Gran Bretagna e Irlanda e ha 800mila visitatori mensili sul sito, è un profondo conoscitore del mondo dei fedeli a Roma che abitano queste isole all’estremo nord d’Europa. Coppen non vuol dire dove ha messo la croce, se sul  leave, per abbandonare l’Unione, o sul remain, ma ammette di aver trovato «la decisione molto difficile e di essere stato indeciso fino all’ultimo momento». «La mia condizione – aggiunge – riflette quella dei cinque milioni di cattolici di Inghilterra e Galles che sono stati molto divisi sull’argomento, guidando in posizione di leadership i campi opposti. Per fare due esempi, il parlamentare Jacob Rees-Mogg, formato a Eton e Oxford come la maggior parte della classe dirigente britannica, è stato tra le figure di riferimento del campo pro-Brexit, mentre John Gummer, più volte ministro, che siede nella Camera dei Lords, capitanava i fedeli del remain. Su versanti opposti, i cattolici si sono impegnati con passione in questo dibattito». Chi voleva restare nella Ue – nota in sostanza Coppen – ha avvertito il richiamo dei padri fondatori (Schumann, Adenauer e De Gasperi), chi voleva uscirne è stato ispirato da una somma di motivazioni che si spiegano con le caratteristiche peculiari del cattolicesimo d’Oltremanica: esiste una parte di fedeli che sente la Ue come antireligiosa e poco vicina alla Chiesa «perché, per esempio, l’Europa ha deciso di non citare Dio e le radici cristiane nella propria costituzione, o perché la Commissione ha posto il veto sulla petizione "Uno di noi" a protezione degli embrioni, firmata da due milioni di cittadini europei». Coppen è convinto che «la maggioranza dei vescovi fosse a favore della permanenza nella Ue, ma non sono riusciti a persuadere tutti i fedeli. È emerso su questo argomento un divario tra la gerarchia e chi frequenta le parrocchie».Per il direttore del Catholic Herald il fatto che il primate cardinale Vincent Nichols, poche ore dopo il risultato del referendum, abbia parlato della necessità che la Gran Bretagna sia un «buon vicino» per altri Paesi, in Europa e nel resto del mondo, «riflette la sua preoccupazione che il Regno Unito non cessi di collaborare su temi cari alla Chiesa cattolica come il contrasto al traffico di esseri umani». Nichols in una nota ha infatti parlato di «apertura agli stranieri» e di «duro lavoro per dimostrare che siamo buoni vicini e sappiamo contribuire, con decisione, agli sforzi internazionali per affrontare i problemi più critici». «L’arcivescovo di Westminster – commenta Coppen – pensa che importantissime campagne morali rischiano di essere più difficili da realizzare stando al di fuori dell’Unione europea», anche perché «ci ritroviamo con un Paese profondamente diviso. Il risultato elettorale del referendum è stato molto stretto, una separazione che riflette le divisioni del mondo cattolico, con i fedeli a Roma che con ogni probabilità hanno votato metà per rimanere nella Ue e metà per andarsene».I cattolici condividono con tutti gli inglesi le difficoltà di un momento «molto difficile, di grande instabilità». Ma, nota il giornalista, «è proprio in situazioni come questa che si ritorna alla dottrina sociale della Chiesa come a un punto sicuro di riferimento per tutti. Penso che, sia a destra che a sinistra, quando si è in crisi, o in una situazione di stallo, si ripesca il patrimonio intellettuale di Roma perché si tratta di una forte tradizione di pensiero sociale che manca sia ai conservatori che ai laburisti. Tutti e due i partiti ritengono la dottrina sociale della Chiesa cattolica intellettualmente molto credibile, una buona alternativa alle loro stesse tradizioni, anche se poi la abbandonano quando non è più utile, in nome del pragmatismo inglese».Luke Coppen spiega che un cattolico inglese come lui può sentirsi diverso, culturalmente, dagli altri cattolici europei e pensa che in questa "diversità inglese" che lo accomuna agli altri suoi compatrioti, per storia e tradizione separati dal continente europeo, sta la spiegazione di un consenso così elevato per uscire dall’Unione europea: «Il cattolicesimo cambia a seconda del Paese nel quale si trova a formare le persone. Credo che quello di Inghilterra e Galles sia più informale rispetto ad altri, ma penso anche che vi sia tra i fedeli a Roma del mio Paese un forte sentimento di conservazione della fede autentica nel mezzo delle avversità». Il direttore del Catholic Herald ricorda la tormentata storia di persecuzione dei cattolici di qui, esclusi dai tempi della Riforma di Enrico VIII, per secoli, dai diritti civili di questo Paese, diritti riacquistati soltanto nel 1829. E parla del sospetto delle classi dirigenti verso questa fede avvertita come straniera, che non avrebbe garantito la fedeltà dei sudditi roman catholic al sovrano e allo Stato. Di qui, una reazione a ciò che le classi dirigenti – largamente favorevoli alla permanenza nella Ue – hanno chiesto e sostenuto.Nel futuro Coppen dice di vedere tanta nebbia proprio come in quel famoso titolo di un giornale inglese degli anni Trenta («Nebbia nel canale della Manica. Il continente è isolato»): «Spero e prego – conclude – che le divisioni tra ricchi e poveri diminuiranno anziché aumentare, ma non so davvero cosa succederà. Comincia un periodo di lunga e faticosa ricostruzione del nostro Paese e dei rapporti che abbiamo col resto d’Europa».
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