lunedì 19 marzo 2012
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Nessuno si illuda: questa partita non si vince nelle piazze ma cercando e ricercando un buon accordo. E invece vedo che molti non intendono assumersi responsabilità, lasciando mano libera a governo e imprese. Portando i lavoratori verso la sconfitta». Il leader della Cisl Raffaele Bonanni non nasconde la preoccupazione dopo una giornata intensa di incontri. Prima brevemente con il presidente del Consiglio Mario Monti, Susanna Camusso e Luigi Angeletti. Poi due round con il ministro Fornero, la presidente della Confindustria Emma Marcegaglia e i "colleghi" di Cgil e Uil. Le contrarietà, però, non sono state smussate. Anzi, il segretario non lo dice ma l’impressione, dopo i convulsi vertici a Milano, è che il governo stia per considerare in qualche modo "acquisito" il «no» della Cgil (che a sua volta si sarebbe sentita scavalcata dal Pd, maggiormente disponibile alla riforma) e sia allora pronto a presentare una proposta di riforma dei licenziamenti più "drastica", con il reintegro che resterebbe solo per quelli discriminatori, così come gradirebbero di più le imprese, il Pdl e l’Europa (forse, come "compensazione", ci sarebbe una stretta ulteriore contro i licenziamenti delle donne per gravidanza).Segretario, l’accordo sembra più lontano, Cosa teme in particolare?Vedo che stanno prevalendo gli opposti estremismi, quelli che spingono per far saltare la trattativa. Sia da parte delle imprese sia all’interno del governo si sentono toni radicali, sembra che si lavori non per arrivare a un’intesa ma per massimizzare un risultato da presentare ai mercati. La prima esigenza di questa trattativa, però, non è far contente l’Europa o le piazze finanziare, quanto dare una migliore tutela ai lavoratori italiani. E, migliorando il mercato del lavoro, incrementare anche la nostra produttività e competitività. Se si smarrisce il senso del negoziato si sbaglia strada.Anche all’interno del sindacato, in particolare nella Cgil, sono tornati a prevalere i «no» ultimativi.Purtroppo questi irrigidimenti rischiano di essere controproducenti per i lavoratori. Sul piano tattico capisco di più Confindustria, perché conta sul fatto che una riforma senza accordo sarebbe più dura e più vicina alle loro posizioni. Capisco meno gli altri, perché se viene a mancare la volontà di fare un accordo, il governo non è più vincolato dalle parti sociali e potrà forzare la mano per portare in Europa il trofeo dell’articolo 18. Deciderà nel peggiore dei modi, come ha già fatto sulle pensioni.

Il governo sembrava aver messo a punto una possibile mediazione, distinguendo tre casi. Da un lato i licenziamenti discriminatori, per i quali resterebbe il reintegro, poi quelli per motivi economici per i quali sarebbe previsto solo l’indennizzo e infine quelli dovuti a motivi disciplinare sui quali sarebbe il giudice a decidere tra reintegro e indennizzo. Per voi questo è un punto di caduta possibile della trattativa?All’interno di questo perimetro un buon compromesso si potrebbe raggiungere, con qualche aggiustamento ulteriore. Lo abbiamo detto da tempo: discriminazioni e abusi vanno combattuti con il reintegro. Però possiamo ristrutturare bene l’articolo 18 e farlo diventare più efficiente. Su questa posizione devo riconoscere che Pdl, Pd e Terzo polo si sono assunti le loro responsabilità, hanno accettato di arrivare a una soluzione equilibrata.È la Cgil invece che non si assume responsabilità?Noi vogliamo salvare l’articolo 18, altri sembrano volersene lavare le mani, piuttosto che assumersi responsabilità. Così sarà il governo a decidere da solo: l’esecutivo taglierà tutto o quasi l’articolo 18, ci saranno manifestazioni di protesta, ma alla fine gli sconfitti saranno i lavoratori. E i sindacati che non avranno saputo gestire la riforma. Se finirà così – ripeto: come è già accaduto per la riforma delle pensioni – vorrà dire che ogni soggetto sociale avrà perseguito il suo interesse opportunistico piuttosto che quello generale del Paese.Nel caso saltasse la trattativa, proclamerete uno sciopero generale? Scenderete in piazza tutti uniti?Non si può dire ora cosa faremo se non ci sarà l’intesa, perché io lavoro strenuamente per arrivare a un accordo. L’attitudine di un sindacato moderno deve essere sempre più la ricerca di punti di convergenza possibili e convenienti con gli altri soggetti sociali, per far avanzare le condizioni dei lavoratori. Non può semplicemente contare sullo sfogo della protesta. Il compito della politica e del sindacato è il dialogo, il compromesso, l’equilibrio fra i diversi interessi. Non che ognuno pensi di avere ragione e non si discosti mai dalle proprie posizioni.La Cgil, però, non sembra voler discutere di cambiamenti per il reintegro...Insisto: non siamo allo stravolgimento. Anzi, gli strumenti per la tutela dei lavoratori restano e sono affidati al giudice. Così come avviene in Germania, sarà lui a decidere se il caso è grave e occorre il reintegro o se basta l’indennizzo monetario. Il tutto in tempi più ristretti e certi. Io mi fido della capacità di giudizio della magistratura, che potrà anche fare riferimento alle norme contrattuali liberamente scelte da sindacati e imprese. Mi sembra incredibile che qualcuno non si fidi dell’equità di giudizio della magistratura.

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