venerdì 8 gennaio 2016
Bentivogli (Fim-Cisl): «Si prenda esempio dagli accordi sull'automotive per rilanciare siderurgia, aerospazio e Ict».
 «Bene, ma ora serve una politica industriale»
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«Di certo non mi unisco al coro di chi vede il bicchiere mezzo vuoto. E non sono d’accordo neanche con chi sostiene che il Jobs act sia stato completamente inefficace sul mercato del lavoro. Tuttavia, l’Italia resta il Paese europeo che sta trovando maggiori difficoltà nell’uscita dalla crisi e la strada da fare è ancora lunga». Marco Bentivogli, segretario generale della Fim-Cisl (la federazione che rappresenta i lavoratori del settore metalmeccanico) ritiene che il binomio dato dal calo dello 0,2% della disoccupazione generale e dall’aumento di 36mila unità di occupati tra ottobre e novembre sia «un segnale incoraggiante ». Ma il passo in avanti sul lavoro, secondo il sindacalista, «deve essere accompagnato da misure di politica industriale chiare ed efficaci, altrimenti l’Italia non ripartirà mai». I dati Istat di ieri sono la conferma che la riforma del lavoro del governo funziona? È ovvio che la diminuzione della disoccupazione generale, che torna al livello del 2012, e il calo di quella giovanile, sono due fattori positivi. Ma va ricordato che tutte le variabili macro-economiche, compresa quella occupazionale, sono lontane anni luce dal periodo precrisi. L’Italia - rispetto agli altri Paesi europei - è quello che stenta di più. Per questo è indispensabile che il governo accompagni alle riforme una svolta nella politica economica. Come andrebbe impostata? Bisogna scegliere le traiettorie di sviluppo su cui puntare, saper selezionare, per poi mettere in campo ingenti investimenti pubblici e privati, come del resto stanno già facendo Germania e Stati Uniti. L’Italia dovrebbe prendere ad esempio quello che siamo riusciti a fare con i nostri accordi sull’automotive, che è in netta ripresa, portando innovazione nel settore. Mentre per un vero salto di qualità occorrerebbe costruire il nuovo manifatturiero e puntare su altri comparti chiave come la siderurgia e l’elettrodomestica, la cantieristica navale, l’aerospazio e l’Ict. Spero che gli Stati generali dell’industria, fissati dal ministro Guidi per il 10 febbraio a Roma, siano l’occasione giusta per prendere decisioni su questi punti. A proposito di ministero dello Sviluppo economico, sul fronte vertenze bisogna prepararsi ad altre situazioni 'calde' nei prossimi mesi? Innanzitutto va sottolineato il proficuo lavoro svolto al Mise da quando è in carica il governo Renzi. Sul fronte metalmeccanico, dal 2008 sono stati persi 250mila posti, ma si è riusciti a salvarne 100mila con la contrattazione, come ha riconosciuto anche Federmeccanica. Restano le questioni delicatissime di Ilva e Alcoa, tanto per citarne due, che si spera di risolvere il prima possibile. Ma al di là dei casi specifici è il sistema in cui si affrontano queste crisi che andrebbe ripensato. Come? Il sindacato entra in gioco solo in una fase terminale, quando i margini per trovare una soluzione sono strettissimi. Le parti sociali non possono essere considerate un pronto soccorso, dovrebbero essere coinvolte anche nelle decisioni strategiche di un’impresa. In questo modo si può intervenire per tempo e prevenire alcuni effetti negativi. Senza partecipazione il nostro Paese non sarà mai forte e reattivo e sarà costretto a un inseguimento con poche chances.
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