giovedì 3 marzo 2016
Maurizio Bernardo, presidente della commissione Finanze della Camera, apre a modifiche sul punto cruciale della riforma.
«Bcc, sulla via d'uscita si lavora a correzioni»
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«L’approdo nell’aula di Montecitorio del decreto banche, che contiene la riforma delle Bcc, slitta di una settimana: dal 14 al 21 marzo. Così come il termine ultimo per la presentazione degli emendamenti è stato spostato dal 7 all’8 marzo. Credo, dunque, soprattutto per una questione di tempi, che le principali modifiche al testo da convertire in legge entro metà aprile possano essere effettuate in questo ramo del Parlamento». Maurizio Bernardo, presidente della commissione Finanze della Camera e deputato di Area Popolare, comunica l’aggiornamento del 'calendario' e apre all’eventualità di apportare alcuni ritocchi al punto più contestato del testo: la via d’uscita per le Bcc che non volessero aderire alla capogruppo. «Serve un approfondimento ulteriore e alcuni correttivi sono possibili». Del resto, non solo Federcasse e Alleanza delle Cooperative hanno espresso perplessità, ma anche Bankitalia ha auspicato miglioramenti sulla way out. Queste indicazioni come verranno recepite? Abbiamo ascoltato i vari interventi nelle audizioni e i tempi ci consentono di aprire una riflessione sul punto più discusso della riforma. Dove si potrebbe intervenire nello specifico?Credo che vada concessa comunque l’opportunità a chi non vuole aderire alla holding di poterlo fare. Anche perché se si venissero a creare due gruppi invece di uno non verrebbe messo a repentaglio l’obiettivo della riforma. Però, in primis, va valutato se l’affrancamento di una parte delle riserve pagando l’imposta straordinaria del 20% all’Erario rischi di far scattare una sanzione dell’Unione europea per aiuto di Stato. Quindi si può ragionare su una quota più alta rispetto all’attuale 20%, magari dopo aver ascoltato anche il parere degli organismi europei. La Banca d’Italia ha proposto pure di stabilire una data certa, magari il 31 dicembre 2015, per calcolare quali banche rientrino sopra la soglia dei 200 milioni di patrimonio netto per evitare fusioni d’interesse o fughe opportunistiche. Lei che cosa ne pensa? L’ideale sarebbe trovare un’intesa anche su questo aspetto. Magari giungendo a un compromesso tra una scadenza retroattiva e un orizzonte obiettivamente troppo ampio come quello dei 18 mesi dal patto di coesione. Forse un punto d’incontro potrebbe essere quello di fissare il termine a 90 giorni dalla conversione del decreto.  Qual è il suo auspicio in vista dell’inizio della discussione del testo in commissione? Ci sono i margini per raggiungere una soluzione largamente condivisa su un testo che, nel suo impianto, è stato apprezzato da tutti i soggetti coinvolti: da Federcasse alla Banca d’Italia, passando per il Tesoro. Vanno sottolineati, inoltre, due aspetti. Il primo è che si tratta di una misura nata da un’autoriforma del credito cooperativo e arrivata dopo un confronto positivo durato oltre un anno. L’altro elemento da non sottovalutare è che il riassetto delle Bcc è un ultimo tassello per completare un processo più ampio, iniziato con la riforma delle Popolari, ed in linea con quanto richiesto dall’Europa all’Italia.
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